Il capolavoro di George Orwell: “La fattoria degli animali”

VIII

Il capolavoro di George Orwell: “La fattoria degli animali”

di Rocambole Garufi

Come una introduzione all’introduzione che Orwell scrisse – ma non pubblicò – ad Animal Farm, Bernard Crick, il biografo ufficiale dello scrittore, ci narra la storia e le peripezie della travagliata pubblicazione di quest’opera.

George Orwell da sempre aveva incontrato difficoltà a pubblicare i suoi lavori. Gollancz, il suo principale editore, aveva già mosso obiezioni a The road to Wigan Pier e poi rifiutato per motivi politici Homage to Catalonia (che era stata pubblicata da Warburg).

Anzi, a proposito di Gollancz, bisogna dire che:

“Mai un editore ha tentato con più accanimento di tenersi legato un autore i cui libri migliori tranquillamente disprezzava” 1.

Ma, questa volta, lo scrittore trovò addirittura un’ostilità generalizzata. Dopo il rifiuto di Gollancz (che egli aveva previsto, tanto da anticiparlo nella lettera che accompagnava la presentazione del manoscritto), Orwell si rivolse all’editore Cape, ottenendo il secondo rifiuto. Alla paura nata dal conformismo politico, in questo secondo caso, si aggiunse una obiezione talmente sciocca che lo scrittore la giudicò meritevole di essere riportata nella sua introduzione. Cape lamentava il fatto che lo scrittore avesse satireggiato i sovietici, allora alleati dell’Inghilterra, presentandoli come maiali, cosa che avrebbe suscitato la loro ben nota suscettibilità.

La terza casa editrice che rifiutò il manoscritto fu la “Faber and Faber”, della quale era socio il grande poeta T.S. Eliot. Questi fece le stesse obiezioni di Cape, pur riconoscendo il valore letterario dell’opera, e qui commenta sibillinamente Crick:

“Che differenza dal coraggio politico di Eliot nei suoi saggi degli anni Venti su Criterion, quando egli era così vicino a Ezra Pound tanto in politica quanto in poesia: Pound ammirava allora Mussolini”. 2

La differenza forse era nel momento storico, dato che nel bel mezzo della guerra gli intellettuali vedevano solo la necessità di vincerla e quindi non intendevano irritare un loro alleato.

“A questo punto Orwell deve aver disperato di far pubblicare il suo libro per vie normali, e forse dichiarò guerra alla viltà dei famosi editori commerciali” 3.

Si rivolse così al suo amico Paul Potts, un poeta senza successo, legato a una stamperia anarchica, la “Whitman press”.

Orwell doveva pagare il tipografo, mentre la casa editrice gli avrebbe messo a disposizione la carta.

All’ultimo momento, però, Warburg accettò di pubblicare Animal Farm. Orwell allora accantonò l’idea di pubblicare l’introduzione molto dura che aveva preparato.

Nell’introduzione Orwell aveva fatto una coraggiosa requisitoria contro il conformismo culturale della sua epoca. Lo scandalizzava il fatto che, pur non esistendo una censura ufficiale, tutti gli editori e i giornali applicavano una specie di auto-censura.

Contro tale conformismo rivendicava la libertà dell’individuo e la volontà di combattere il plagio sociale. Era la vecchia tematica di Orwell: l’individuo che resta schiacciato dalla società.

La trama di Animal Farm è di una semplicità lineare e ricalca da vicino il nascere e l’affermarsi del comunismo in Russia. Major è un porco premiato a molte esposizioni e padre di ben 400 figli. Egli, quindi, non è stato castrato come gli altri maiali ed è stato destinato solo alla riproduzione.

Una sera egli convoca tutti gli animali della sua fattoria, di proprietà del sig. Jones. E, una volta riunite tutte le bestie, fa una spietata analisi delle condizioni di sfruttamento a cui l’uomo ha ridotto gli animali. Poi, il maiale narra un suo sogno nel quale ha visto la vita felice degli animali, una volta che questi si sono affrancati dalla tirannide dell’uomo.

Finisce il suo discorso incitando le bestie a rivoltarsi contro l’uomo e insegna loro un inno dell’intonazione guerriera.

Dopo tre giorni il vecchio verro muore, ma il suo insegnamento non è andato perduto. Gli animali, una sera che Jones è tornato a casa ubriaco ed ha dimenticato di dar loro da mangiare, insorgono e scacciano l’uomo della fattoria instaurando il loro regime.

Fin dal primo momento, però, i maiali, che sono gli animali più intelligenti, prendono la guida della nuova società. Si impongono soprattutto Napoleon e Snowball, il primo perfetto organizzatore e l’altro grande trascinatore di folle.

A difesa dei principi dell’animalismo, vengono scritti a caratteri cubitali ben sette comandamenti, dei quali il primo, e più importante, rende solenne il principio della uguaglianza fra gli animali. Recita infatti:

“ALL ANIMALS ARE EQUAL”.

Ben presto fra i due capi ribelli scoppia una lite, in seguito alla quale Snowball è costretto a fuggire dalla fattoria. Napoleon, così, diventa un dittatore incontrastrato e la situazione si involve sempre di più.

Napoleon e i suoi maiali diventano i nuovi padroni, altrettanto tirannici dei vecchi. Al motto dell’animalismo viene fatta un’aggiunta che lo snatura. Diventa:

“ALL ANIMALS ARE EQUAL. BUT SOME ANIMALS ARE MORE EQUAL THAN OTHERS”.

Tutti gli animali sono uguali. Ma alcuni sono più uguali degli altri.

Una mattina gli animali si accorgono di aver perso le loro illusioni vedendo Napoleon e gli altri maiali camminare su due zampe, esattamente come gli odiati e tanto faticosamente sconfitti uomini.

La satira di Orwell, come si vede, è di un pessimismo cupo e senza speranza.

Essa segue abbastanza fedelmente l’evoluzione politica dell’Unione Sovietica. Dietro Major non è difficile scorgere Lenin, come facile appare il parallelo tra Napoleon e Stalin e tra Snowball e Trotzkij.

La nascita in Russia del primo Stato socialista del mondo aveva acceso speranze ed entusiasmi enormi. Si credeva che i lavoratori di tutto il mondo dovessero finalmente incominciare a liberarsi delle loro catene. Il fatto, poi, che il comunismo ben presto si fosse tramutato in dittatura personale di Stalin, in totale negazione della libertà, in catene tanto pesanti quanto quelle di prima, aveva reso la delusione ancora più amara.

Orwell fu colui che tradusse questa delusione in evidenza letteraria, dandole una dimensione di favola. Se il suo pessimismo parte da una situazione storica precisa, le conseguenze sembrano essere la sfiducia nelle possibilità dell’uomo in generale, la più volte ripetuta sfiducia nella capacità dell’individuo di salvarsi dal condizionamento sociale.

In questo senso Orwell oltrepassa la contingenza storica e ci dà una lezione universale, almeno per quel che riguarda la nostra epoca.

Bisogna, quindi, superare la prima tentazione, la più facile: quella di leggere l’opera in chiave di puro anticomunismo. A ciò non si sono sottratti intellettuali di parte anticomunista. Armando Plebe, per esempio, in un articolo apparso sul Secolo D’Italia, così ha scritto:

“Ed ecco invece che si riscopre ora un Orwell appassionato anticomunista, deluso della sua milizia rossa ed implacabile accusatore delle ipocrisie e delle crudeltà dei marxisti. Il capolavoro di questa sua sinora poco conosciuta battaglia anticomunista è una satira del 1946, intitolata Animal Farm, “Fattoria degli animali”: in esso nello stile del celebre umorista Jonathan Swift, Orwell ridicolizza soprattutto il regime ed i notabili dell’Unione Sovietica. Egli parte dalla scoperta, che ritiene d’aver compiuto, secondo cui gli animali di una data razza si assomigliano più degli altri: un maiale è assai più simile ad un altro maiale che non un cane ad un altro cane. Ne consegue che quel regime che pretende di fondarsi sull’uguaglianza di tutti gli uomini prende a suo modello la razza animale che non è certo la più nobile e che, nella spietata scrittura di Orwell, si presta particolarmente a simboleggiare il trionfo del materialismo dei dirigenti sovietici” 4.

Qui, a parte l’evidente travisamento del pensiero di Orwell, che non pensò mai ad alcuna strana teoria secondo la quale l’aspirazione all’uguaglianza avesse a modello i maiali, vi è un’operazione di vera e propria riduzione del messaggio del libro agli interessi di una parte politica.

L’esperienza che Orwell descrive in Animal Farm, infatti, era un’esperienza della quale lui stesso soffriva. Egli parla del tradimento da parte del potere degli ideali di uguaglianza e la sua satira è satira del potere, non di questi ideali.

Il riferimento, quindi, a precisi fatti storici è dovuto alla poetica di Orwell. Egli era contrario alle astrattezze ed aveva sempre bisogno di radicare le sue riflessioni nel concreto delle esperienze a lui contemporanee.

Così, nella crociata contro il potere, Orwell alla levità della favola satirica avrebbe presto preferito il ben più denso e ben più cupo pessimismo di 1984.

1 Bernard Crick, “Un’introduzione all’introduzione che Orwell soppresse”, in George Orwell, La fattoria degli animali, Milano, Mondadori, 1979, pag. 19.

2 Ibidem, pag. 20.

3 Ibidem, pag. 21.

4 Armando Plebe, “La fattoria degli animali”, in II Secolo d’Italia del 6/4/1975.

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