Rocambole Garufi, Spettacoli Barocchi nella Settimana Santa a Militello nel Val di Noto (PDF scaricabile gratuitamente)

A truvatura

Collana di guide turistiche e di monografie

diretta da Salvatore Paolo Garufi

n. 3

Si ringraziano per la gentile collaborazione:

Franca Barbanti, direttrice del Museo “San Nicolò” di Militello

Marina Marino, coposervizio dell’Ufficio Cultura del Comune di Militello

GiovanniLa Ganà, governatore della Confraternita del Santissimo Sacramento in San Nicolò-SS. Salvatore

Giovanni Cavalli. direttore del Teatro pubblico della Città

Antonello Guglielmino, promotore del Museo Civico “Sebastiano Guzzone” di Militello

proprietà letteraria

Il Garufi Edizioni S.r.L.

Catania

ISBN : 978-88-97966-19-7

© COPYRIGHT 2014 – Il Garufi Edizioni S.r.L.

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Tutti i diritti riservati.

Introduzione

Salvatore Paolo Garufi

Le più antiche notizie sulla Settimana Santa a Militello – che, con non pochi cambiamenti e semplificazioni, continua ancora oggi – risalgono al Seicento.

Una tradizione durata fino a qualche anno fa voleva che il Mercoledì delle Ceneri nella stradina che porta alla Chiesa del Purgatorio venisse appeso ad un filo un pupazzo raffiugurante una vecchia, con infilate sette penne di gallina. Poi, ad una ad una, le penne venivano tolte ogni Venerdì di Quaresima.

In ogni caso, non v’è dubbio che il preludio della Settimana Santa fosse la predicazione quaresimale. Il Predicatore svolgeva la sua opera a Santa Maria, tutti i Sabati e nella seconda e quarta settimana.

Poi, intervenne l’accordo per cui si predicava in Santa Maria nella prima e nella seconda settimana continuamente, mentre la predica dell’Annunziata veniva fatta nell’omonima Chiesa, così come quella di San Benedetto.

La Predicazione della Bolla della S. Crociata, che durava tre giorni, veniva, invece, fatta in San Nicolò. Poi, la prima Processione delle Vocazioni, che si faceva di lunedì, andava a San Pietro; la seconda, di martedì, a San Giovanni; la terza, di mercoledì, a Sant’Antonio Abbate.

Nella Domenica delle Palme la processione andava a S. Antonio Abbate, ma non entrava in chiesa, per cui si apprestava l’altare nel piano davanti alla porta sud e lì si recitavano le antifone in versetti e le Orazioni del Santo.

Dopo, partiva la processione che, passando dietro San Pietro, arrivava nella piazza davanti alla Chiesa Madre di San Nicolò (oggi, Largo San Nicolò il Vecchio). Qui il Clero ed i parrocchiani di San Nicolò entravano nel tempio, mentre il Clero ed i parrocchiani di Santa Maria se ne scendevano verso la loro chiesa. Quindi, tutt’e due le comunità, ognuna per i fatti propri, celebravano la Messa ed il Passio.

Fino a pochi anni fa le solennità cominciavano il Giovedì Santo (oggi il mercoledì) nella Chiesa di Santa Maria della Stella. Il secentesco Gesù alla colonna, scultura lignea di stile vicino a quelle di Fra’ Umile da Petralia, viene tratto fuori dalla sua abituale nicchia davanti ad una grande presenza di popolo. Dopo, un corteo silenzioso accompagna l’effige di Gesù per le vie della città. Al ritorno, cento colpi di cannone rendono lugubre il buio.

Allora, i fedeli, risalendo la via Roma, vanno nella Chiesa del Calvario. Lì, stesa sul letto a simulare la Fine, trovano l’antica statua snodabile del Cristo. Qualche devoto la veglia per l’intera notte, finché all’alba, secondo la tradizione, ci si riscalda in sacrestia, al fuoco di un braciere.

Il Venerdì, già di prima mattina, i confrati, vestiti di lunghi sai bianchi, vanno al Calvario. La statua del Cristo viene portata sotto il portico della Chiesa ed i preti cominciano la cerimonia della crocifissione, cosa che immancabilmente dà spunto alle immaginabili ironie. Chiodi e tenaglie si trovano su un cuscino ricamato, tenuto dalle verginelle. Con una lunga fascia passante sotto le ascelle, la statua viene issata sulla croce. Ad ogni chiodo che viene piantato, si sente il botto di una bomba, una bomba particolare, chiamata miana, confezionata per l’occasione secondo precisi canoni.

Nel pomeriggio troviamo l’apice della spiritualità, quando i confrati in processione raggiungono l’Istituto delle Orfanelle, per prendere il nuovo letto, quello dove si depone il Cristo Morto. Questo letto vuoto, che gira per le strade del paese tra il tocco funebre delle campane, portando un brusìo di funerale nella folla che gli fa ala, pare la raffigurazione dell’universale destino ultimo.

Così, al tramonto la statua del Cristo viene scesa dalla Croce e portata nella Chiesa di San Nicolò-SS. Salvatore, per essere seppellita. Con i confrati vestiti di bianco ed i muri della via Roma punteggiati di rosso, si crea una scena di sfarzo e di severità. La banda accompagna il corteo con musiche di lutto, fermandosi alle stazioni. Tradizionalmente importante è la fermata della Firrera, per il canto del populameu.

Giunta in chiesa, la statua viene solennemente posta su un catafalco, in cui spagnolescamente domina il colore rosso, e poi seppellita. Più tardi, defluito il pubblico, essa viene riportata in gran segreto nella Chiesa del Calvario.

Ma, neppure in questi giorni di morte ci si dimentica dell’antica guerra che contrappone le due parrocchie della città, Santa Maria della Stella e San Nicolò-SS. Salvatore. C’è, semmai, una semplice tregua, con tanto di antesignana par condicio. I mariani si prendono la solennità del Giovedì ed i nicolesi quella del Venerdì.

Sulla tradizione del Venerdì Santo a Militello, in particolare, risultano interessanti alcuni manoscritti presenti nell’archivio del Museo San Nicolò. Questi documenti fanno pensare che l’attuale manifestazione sia lo scheletro di un’antica Sacra Rappresentazione.

In ciò ci conforta l’idea che in qualche modo si sia continuata l’attestata tradizione cinquecentesca (Carrera) di rappresentare la Passione di Cristo nella piazza di Santa Maria della Stella.

Allora, lo spettacolo durava tre giorni e spesso la recita era in versi siciliani. In quell’occasione i Rettori delle Confraternite maritavano una o più povere “donzelle”, indi c’erano balli nella strada e nella piazza davanti alla Chiesa “ragunandosi tutto il Popolo, poiché vi ballava l’istessa Sposa, li parenti delli Rettori e le più belle donne della Terra, delle quali riguardevole e singolar bellezza Militello n’è doviziosa”.

Non sappiamo perché col tempo sono scomparse le parole dalla recita del Venerdì Santo. Nei copioni ritrovati, comunque, risulta notevole la dimensione popolaresca dei personaggi. Maria ed i Santi che la contornano pensano e parlano secondo pregiudizi che oggi sarebbero inammissibili. L’ingiuria nei confronti degli ebrei è violenta e continua. Notiamo, ancora, che i Santi non soltanto hanno espressioni poco cristiane nei confronti di chi ha ucciso Gesù, ma sono davvero dei benpensanti. Nei loro giudizi è assente ogni pietà, specialmente quando si riferiscono ai ladroni compagni di Gesù.

La più antica datazione certa riguarda un manoscritto del 1749. Ne esistono, però, diverse varianti (alcune precedenti).

Già nel XVII° secolo, inoltre, erano di notevole interesse anche le due feste patronali, quella di San Nicolò (oggi sostituita da quella del SS. Salvatore, che si celebra il diciotto agosto) e quella della Madonna della Stella, che cade l’otto settembre.

da Notizia di Militello del Val di Noto

Pietro Carrera

Il manoscritto si trova presso la “Sezione del Libro e delle Carte” del Museo “Sebastiano Guzzone” di Militello. Nell’ultima pagina, a imitazione di un timbro, v’è segnato: “Bibl. Franca Arcasatta / Raffaele Posdomani / – Roma – 1953.

(…)

Sappiasi che il Comune della Terra da ciascheduno ha il nome d’Università, tale ancora si scrive ne’ contratti, lettere, ed altre scritture. Vi aggiungo, che da 300 an. addietro ora chiamasi col med.° nome di Università, con il quale parim. negli stessi tempi era detta la Città di Palermo, e di Messina.

Quanto all’ecclesiastico il vicario che rappresenta la persona del vescovo in ogni funzione tiene il primo luogo di precedenza, il beneficiato di S. Nicolò, il 2°, quello di S. Maria il 3°. Li sacerdoti anziani per consuetudine antica precedono li sacerdoti dottori meno antichi. Il beneficiato di S. Nicolò precede quello di S. Maria, come è detto, in tutte le chiese, eccentuata quella di S. Maria della Stella e di S. Pietro, nelle quali il beneficiato di S. Maria ha la precedenza. Il beneficiato di S. Nicolò nella mattina della solennità del Corpo di Cristo Sig.r nostro ha prerogativa di cantar la Messa in S. Maria. All’incontro il beneficiato di S. Maria nella compieta del sud.o giorno tocca di far l’Ufficio in S. Nicolò in Militello, il beneficio è l’istesso, che altrove l’arciprete o paroco(sic).

Nel dì dell’Assunzione del Sig.re tutto il clero concorre alla celebrazione della Messa cantata. La qual solennità si fa alternativamente un anno in S. Nicolò, l’altro in S. Maria, tocca a S. Nicolò quell’anno del millesimo che ha il numero disparo come nell’anno 1633. L’anno che ha il n.ro pari, come il seguente 1634, perviene a S. Maria. Nel g.rno di S. Marco la processione va in S. Maria, però la limosina, la quale si raccoglie da quei che sono presenti si distribuisce tra le persone del clero. Nella quaresima il predicatore ha obligo(sic) di predicare in S. Maria per tutti li sabbati(sic), e nella seconda, e quarta settimana; bensì alcuni anni per accordo si da la predica a S. M.a la prima, e la seconda settimana continuatamene, nel resto si predica in S. Nicolò. La predica dell’Annunciata in qualunque settimana sortisca appartiene alla chiesa dell’Annunciata, che è de’ Padri Paulini. Così ancora nel g.rno di San Benedetto si predica nella Chiesa d’esso Santo. La predicazione delle Bolle della S. Cruciata in qualunque settimana accada per tre giorni si fa in S. Nicolò. La prima processione delle Rogazioni, la quali si fa nel lunedì, va alla chiesa di S. Pietro, dove si canta la messa. La 2° che è nel martedì s’indrizza alla chiesa di S. Giovanni, ed ivi si canta la Messa. La 3° che è nel mercordì si termina in S. Antonio Abbate(sic), ove parimenti si celebra la Messa cantata. Nella mattina della domenica delle Palme la Processione va in S. Antonio, ma non entra nella Chiesa, perciocché si acconcia un altare nel piano d’avanti la porta di mezzogiorno, ed ivi si dicono l’antifone in versetti, e l’orazione del Santo. Indi s’ordina la processione pella strada, che volta la Chiesa di S. Pietro, della parte di ponente, e se ne ritorna verso la Madre Chiesa, però essendo nel mezzo della piazza il Clero, ed i Parrocchiani di S. Nicolò tirano per la Madre Chiesa, il Clero ed i Parrocchiani di S. M.a scendono alla lor Chiesa laonde in ciascheduna di esse Parochie(sic) si canta la Messa con il Passio.

Non sarà fuori del nostro proposito se toccaremo alcuni casi tralasciati, e scordati, li quali furono in vigore in tempo di Carlo Barresi Sig.r della Terra, di Vincenzo suo figlio, e nel principio della Signoria di Catarina. Solevano li nostri allo spesso fare rappresentazione dell’Atto della Passione di Cristo, ciò si facea nel Piano di S. M.a della Stella, e durava p. tre giorni, il componimento era disposto in versi di lingua siciliana. Di più li Rettori delle Confraternite maritavano una, o più povere Donzelle, indi nella Festa della Chiesa si celebravano li balli nella strada pubblica, o piano d’avanti essa Chiesa, radunandovisi tutto il Popolo; poiché(sic) vi ballava l’istessa sposa, li parenti delli Rettori, e le più belle donne della Terra, delle quali riguardevole p. singolar bellezza Militello n’è doviziosa. Questo uso durò insino al mio tempo.

Nella sera della vigilia di S. Antonio Abb.e, di S. Paolo, cioè della conversione di lui, di S. Leonardo, di S. Sebastiano, nelle lor Chiese vi era tanta frequenza di Uomini, e di Donne che tutta la notte si vedeano piene: cantavano canzoni, e lodi spirituali, seguendone ancora diversi silenzi, e giuochi; e poiché stassero agiatam.e quelle lunghe notti d’inverno, v’eran condotte varie conche d’acceso carbone; inoltre li Rettori a comando del Popolo avevano lastricato di tavole il suolo della Chiesa. Li Confrati di S. Antonino invidiando questa solennità notturna poiché nella vigilia di S. Ant.o di Padova, che è a 12 giugno tempo caldo, e notte breve non si facea tale adunanza introdussero la festa di S. Blasi, e copersero ancora il pavimento di conficate(sic) tavole per godere di simil festa di queste adunanze Io ne ho memoria, ma la lasciarono, quando jo era Giovanotto.

Raccontano li Vecchi, che le Monache dell’Uno, e l’altro Monastero conversavano indifferentam.e con ogni sorte(sic) d’Uomini.

Pure ne appartiene di far menzione, che in Palagonia, Terra vicina di Militello pella distanza di quattro miglia, facendosi la Festa di S. Profitta ogni martedì secondo g.no doppo(sic) Pasqua di Resurrezione, li Giovani Militellesi a tempo de’ nostri Padri, ed anco al nostro andavano sovente alla festa armati di Spada e Borchiero, non p. devozione, ma per mostrarsi guerrieri, e rumoreggianti, laonde quasi ognuno di continuo commettevano brighe notabili, ritornandosene feriti assai; ed avendone anche feriti molti. Talvolta il disordine arrivò a grandis.mo eccesso, ne si potte rimediare a tali errori. Vi andavano pure parecchi di Mineo, ed jo sendo fanciullo ricordomi che ogni martedì la sera doppo(sic) Pasqua, il popolo di Militello usciva fuori nel piano dell’Annunziata, per vedere coloro, li quali tornavano feriti da Palagonia. Oggi questa insolenza è cessata in parte.

Il CALVARIO (n.1)

(Rappresentata nell’anno 1749)

Ignoti

Tutti i manoscritti sono presenti nell’Archivio del Museo “San Nicolò” di Militello in Val di Catania (CT). Di quelli riguardanti la versione n. 1, uno si compone di tredici facciate (formato quaderno). In molte parti risulta di lettura difficoltosa. Si è, quindi, reso necessario un continuo lavoro di collazione con un altro manoscritto, datato 1749, che contiene diverse parti aggiuntive, ma che non presenta modifiche rispetto al testo riportato sopra. Le parti in corsivo sono quelle non presenti nell’altro manoscritto, probabilmente precedente. Si compone di quindici facciate (formato quaderno). Le grafie dei due manoscritti appaiono diverse. Le varianti sono puramente aggiuntive, tautologiche rispetto al contenuto o alla natura dei sentimenti; oppure, frammentano fra più interlocutori alcuni monologhi; o, ancora, inseriscono didascalie meglio specificate. Letterariamente, le varianti presentano una maggiore audacia nei barocchismi. Pochi i ripensamenti evidenziati dalle cancellature (forse, legati a dubbi interpretativi del manoscritto più vecchio).

Interlocutori

Maria Vergine, Maria Maddalena, Maria Cheofe, Giovanni, Giuseppe, Nicodemo, Misandro. Maria Vergine, Maria Cheofe, Maria Maddalena si trovino ai piedi della Croce. Giuseppe e Nicodemo sopraggiungono con la processione.

Principio dell’azione

GIUSEPPE: Fierezza assai distinta!

NICODEMO: Crudeltà senza esempio!

GIUSEPPE: Inaudita barbarie!

NICODEMO: Singolare empietà…

GIUSEPPE: Perfido eccesso

A DUE: Fu quest’oggi lo tuo, Ebreo perverso!

GIUSEPPE: Per Amor mio, per ricomprare un … (luogo?)

NICODEMO: Per salvar l’Alma mia, per batter i … (rei?).

GIUSEPPE: Sotto l’umano velo,

A DUE: Muore, fatto mortale, il Re del Cielo.

GIUSEPPE: Ahi! che in mirar spettacolo sì crudo

Sorpreso è questo cor da rio dolore.

NICODEMO: Ahi! che nel contemplar fatto si(mile)

Abbattendo quest’alma tu … (mi stai?)

GIUSEPPE: Senza risparmio alcun…

NICODEMO: Senza cessare

A DUE: M’invita a far dell’occhi un vasto Mare!

MARIA VERGINE: Fido Giovanni, ohimé!

Qual con nuovi sussurri all’Alma mia

Fiero timor ritorna?

Qual più va machinando (sic)

Di stragge (sic) al figliol mio l’Ebbreo (sic) Crudele?

Di’ pur: chi sono questi,

Che pressatesi a Noi,

Ne’ lamenti alternati,

Sembran commiserar con pianto rio,

La sciaura comun, lo stato mio?

S’eglino sono Ebrei,

A tenor del mio duolo, io li direi (cancellato: posso dirli)

Coccodrilli spietati!

Che, uccidendo il mio Bene,

Quel che è tutto di me, l’Anima mia,

Par che, non pago ancòra il lor furore,

Con spietata pietà piangon l’errore.

E s’Eglino perversi,

Non sazi ancor d’avermi ucciso il figlio,

Tornan contro lo stesso,

Per satollare le spietate voglie,

Pregoti, o mio Diletto,

Che alla gran rabbia lor me stessa esponi,

Perché si dica alfin che in compagnia,

Morto il figlio Gesù, mora Maria!

GIOVANNI: Non (sic) no, Madre Pietosa,

I palpiti del cor cessino affatto.

Questi ch’ora mirate

Non son nemici, no, sono in effetto

Dell’esangue mio ben, del figlio vostro,

Discepoli fedeli.

Giuseppe à l’uno e Nicodemo è l’altro;

E mi sembrano entrambi,

Che qui si siano portati,

Per distaccar da quel spietato legno

L’Amato mio Signor, l’unico pegno.

MARIA CHEOFE: Si, si. Tant’esser deve

Mentre dai loro accenti ho ben compreso

Metodi di pietà, senzi (sic) d’affetto.

E, se manca la tomba in cui posarsi

Debba l’esangue corpo, io vi prometto

Per bara questo sen, per urna il petto!

MARIA MADDALENA: Ed io che farò mai? Ahimé, dolente!

Io, che la causa fui coi miei peccati

Di far morire il redentor dell’Alme,

Neghittosa starò?

Non (sic), no! Che, se per me ei patì tanto

Giust’è che si distempri il core in pianto!

MARIA VERGINE: Figlio! Ahi, nome! Ahi voce!

Che qual acuto strale mi svena il core!

Figlio, dicevo, figlio!

Lume dell’occhi miei, dolce respiro

Della Madre dolente!

A me Cheofe ed a te pure congionta

Ti preparava, amorosa,

Per bara il sen ed il petto suo per urna!

Maddalena pietosa

Vuol col pianto formare un mar di duolo!

Ed io, l’Addolorata,

Che per l’occaso tuo, sol dei miei giorni,

Fra le donne dolenti e madri afflitte

Posso vantar la maggioranza, il soglio,

Qual ti darò conforto?

Ahi, figlio! Ahi, figlio dolce!

Se le viscere mie, che culla furo

Alla tua Deità, Tu non abborri,

Vuo’ che fussero ancor del corpo tuo

Esanimato (o: Disanimato?), esangue… orrida tomba!

Che giusto e ben (ahi, rimembranza acerba!)

Che dell’Autore della vita sia

Animato sepolcro oggi Maria!

GIUSEPPE – NICODEMO: Addolorata Madre!

GIUSEPPE: Umile a’ cenni tuoi,

Ecco servo fedel, ecco Giuseppe.

NICODEMO: Riverente al tuo piede,

Ecco perpetuo schiavo un Nicodemo.

GIUSEPPE: E’ ben vero, signora,

Che funesta caggion oggi prescriva

Effetti di dolore al mio dovere;

Io non di men t’accetto

Che saran sempre vive nel mio core

Del morto mio Gesù l’opre e l’Amore.

NICODEMO: Ed io pur t’assicuro

Che, se per amor mio su questo tronco

L’Amato figliuol tuo lasciò la vita,

Impiegato vedrai

Per Gesù, per Maria,

Tutto me stesso, il cor, la vita mia!

GIUSEPPE: Per lo che ti scongiuro

Che dassi tregua al duol, Madre dolente,

E che ci concedessi

Dell’Estinto tuo figlio,

Del dolce mio Gesù, l’esangue corpo,

Per dargli sepoltura;

Che non è ben che qui sospeso resti

Per accrescerti doglia e più tormento,

Oggetto di ludibrio, al freddo, al vento.

MARIA VERGINE: Al’opre di pietà che neco usate

Facci l’eterno Padre

Con sua libera man giusto compenso;

E, giaché (sic) voi bramate

Seppellire il mio ben, io vel concedo.

Ma, che dissi? Ahi, meschina!

Figlio! Figlio Gesù, Tu che rispondi?

Ahi, no! Che il figlio amato, ancor che morto,

Della mia crudeltà par che si lagni

E dica fra se stesso in mute note:

Se l’ebreo contumace

Morte mi die’ per soddisfar mio Padre,

Mi comanda alla tomba oggi mia Madre!

GIOVANNI: Sconsolata signora,

Cruda necessità di tor da vista

All’Ebraico furore il Corpo Santo

Del nostro buon Gesù più non permette

Che passi il tempo in soddisfar la doglia (o: dolce?)

Tenerezza d’affetti!

Onde convien, Signora,

Che al voler di là su consente affatto!

Il voler vostro resti

Con permetter che sieno

Le lacerate membra di Gesù,

Del mio dolce Signor, del mio Maestro

In convenevol tomba oggi sepolte!

Poi che, per non subir coi delinquenti

(Insepolto restando) ugual la sorte,

Stimai assai decente

Che goda almen sepolcro un innoccente!

GIUSEPPE: Sì, sì. Fa’ che non resti

Isepolto per te quel sommo bene,

Che, nel mirarlo estinto,

Agonizzar mi fa, tra un mar di pene!

NICODEMO: Sì, sì. Fa’ che si smorzi

L’Ebraica forità, ch’ancor rimbomba,

Che giunt’è ben che dia

Al nazareno Gesù pace la tomba!

MARIA VERGINE: Dubbio non v’è, diletti,

Che convenevol sia si seppellisca

Del mio figliol Gesù l’esangue Corpo!

Ma, riflettendo poscia

Che, vedovato il cor d’un tanto Bene,

Privo debba restar l’occhio dolente

Della Madre Meschina, in non guardare

(Ben vero ch’ecclissaro) il mio bel Sole

Non ho mezzo bastante

Con che consoli l’Alma mia spirante!

Ad ogni modo, o fidi,

Giaché (sic) così v’aggrada, abbiate il corpo,

Mentr’io mi pasco, intanto,

Fra dogliose agonie d’amaro pianto!

MARIA CHEOFE: Maddalena! Già, già il nostro bene

Fra breve si darà,

Sì lacero (cancellato: Tutto lasso) e dimesso

Nelle braccia alla Madre!

E, se ben la dolente

Figurar nol potrà se sia suo figlio,

Col volere di Dio

Confortar dobbiamo in questo mentre,

Purché il dolor nel petto suo si stempre!

MARIA MADDALENA: Sì, sì. Io sarò quella

Che a tal funebre vista,

Data in preda al martìre,

Piangendo, ne starò sino al morire!

E voi, fedeli Amici,

Per tranquillare alla dolente Madre

Un tantino il dolore

E per togliere affatto

Dalla vista feral dell’Empio Ebreo

Il morto mio Gesù,

Fate che non v’arresti altra dimora,

Mentre propizia a noi si mostra l’ora!

GIUSEPPE – NICODEMO: S’alzin dunque le scale!

GIUSEPPE: E mentre, Nicodemo,

T’accingi ad adattar la fascia bene

Al corpo di Gesù,

Mi preparo all’istante

Ad ischiodar le sue sacrate Piante!

(Mentre Nicodemo fa accomodare le scale e Giuseppe s’avvicina per schiodare i piedi, sopraggiunge Misandro a cavallo, poco distante dall’azione, interrompendola).

MISANDRO: Ah, ribaldi, fellon! Dunque, sì tosto,

Posto il vostro natal detto in non cale,

Distaccar da quel legno oggi intendete

Un morto dall’Abisso,

Un Mago Ipocriton, già crocifisso?

E via!… Cambiate omai

Voluntate e pensier! Ché non conviene

La propria nobiltà che c’ostentate

In azion sì vil tanto abbiettare!

E sovvengavi ancora

Che, se voi pertinaci

Contro il dritto e dover tanto farete,

Non converrà al mio braccio

Ritardar le vendette!

Anzi, farò che ceda ognun di voi,

Per conservar le leggi al primo onore,

Vittima esanimata, al mio furore!

GIUSEPPE (cancellato: GIUSEPPE – NICODEMO): Misandro, a dirti il ver, legge che vieta

Adoprar la pietà sempre è tiranna!

(Qui, cancellato: GIUSEPPE) Ad ogni modo… Senti,

Finiamola, omai! Tu sol pretendi

Che il buon Gesù restasse in croce appeso

Ed io ad onta tua, aggiunto

Col fido Nicodemo, lo schioderò!

E, se io m’incanti (il che non è già mai)

In opre di viltà, come l’intendi,

Lascia che il mondo tutto

Dichi contro di me quanto l’aggrada!

Ché per immortalare il Nome mio

Basta che l’opre mie l’approvi Dio!

NICODEMO: Se poi coi tuoi schiamazzi,

Mostro d’umanità, tigre umanata,

Procuri intimorirci, assai t’inganni!

Poi che solo soggiace al tuo furore

Pusillanime il volgo e non comprende

Un magnanimo cor timore alcuno!

Si schioderà Gesù, quel Nazzareno,

Dal legno ove ne pende!

Io col caro Giuseppe

Omai seppellirollo a tuo mal grado!

Tu, se puoi contraddirci,

Adopra il tuo furor, maneggia l’ire!

Ché alfin vindice un telo

Basta che scocchi a sterminarti il cielo!

MISANDRO: Ah, perfidi ed indegni!

Inimici del Ciel! Rubelli a Dio!

E non forma la terra

Più voragini a un tempo, ad ingoiarvi?

E dal centro del fuoco ancor si bada

(Oh, Dio delle vendette!)

A vibrar sopra questi, a cielo aperto,

Fuoco, fulmini e guai senza ritegno,

Tra severità, tuoni di sdegno?

Ma che, se noi protervi

Profanatori delle leggi eterne

Tollera paziente Iddio pietoso,

Io vi prometto e giuro

Che, svenando la vostra enormità,

L’ardir del braccio mio, l’Antico culto

Del mosaico Rito,

Che senza alcun riguardo in voi languisce,

Fine novell’ stabilirò col sangue!

Né mai potrà giovare al vostro intento

Di seppellir quel seduttore infame

L’irregolar permesso di Pilato,

Poi che Misandro invitto,

Contro di voi, contro lui, cinto di zelo,

L’istanze porterà sin sopra il cielo!

GIUSEPPE – NICODEMO: Servati come vuoi! Io nulla temo!

MISANDRO: Sì, dunque, pertinaci

Schiodate da cotesto infame legno

Quel corpo (nella versione antecedente: infame, vil, ch’abborre un mondo!) vil ch’abborre un mondo intiero!

Sì, seppellite voi

Quell’immondo rifiuto della plebbe (sic),

Quel fellon seduttor, quel ladro indegno,

Che, morto, ancor di mille morti è degno!

(Verso i soldati).

Ma, nello stesso tempo, e ferro e fuoco

Vi conviene adoprar, fidi guerrieri!

Fiatansi omai le trombe

(Suonan le trombe).

S’accinga ognun a custodir quell’antro

Ove sepolcro avrà quel furbo audace!

Poi che vedremo alfin se può Misandro

Nel tenor di suoi sdegni

Le machine (sic) attentar di questi indegni!

Giuseppe? Nicodem? Perfidi! Parto

E vi assicuro ancora

Che l’arroganza vostra

Sarà senza uguaglianza alfin punita!

Giuromi di voi stessi

Sterminator tremendo!

E sin che durerà nel petto mio,

Vivo, in culla d’ardir, l’offeso core,

Vendette adoprerò, ire e furore!

(Marcia coi soldati).

GIUSEPPE: Barbaro! Disleal! Petto abbronzito!

NICODEMO: Crudel! Fiero tiranno! Empio! Perverso!

A DUE: Vanne! T’ingoierà l’inferno stesso!

GIUSEPPE: Fido, non più convien che scorra il tempo

Senza portar l’impresa nostra a segno.

NICODEMO: Eccomi accinto a soddisfar l’impegno.

(Giuseppe s’adopra per schiodar li piedi e Nicodemo sale le scale ad accomodar la faccia al corpo di Gesù Cristo).

MARIA VERGINE: Ingiustissimo Ebreo,

Qual male in tuo danno

Il mio dolce figlol oprò giamai (sic)?

In che lo conoscesti

(Smemorato che sei)

Ladro, furbo, fellon, perfido, indegno?

Dimmi, dimmi, spietato!

E quando a tuo favore

Non stese egli l’arbitrio a consolarti?

E quando (ohimé, giamai! (sic))

Cessò teco d’usar la sua pietade?

E tu, senza raggione (sic),

Il dator d’ogni bene ladro ne chiami,

Furba la purità, fellone un Santo,

Perfido un giusto, indegno stimi un Dio!

Ahi, che a tanto mentore

Soffrir non posso più!… Io… me… ne…

(Sviene).

GIOVANNI: Ohimé, care sorelle!

MARIA CHEOFE – MARIA MADDALENA: Ohimé, fido Giovanni!

A TRE: Soccorrasi da noi la Madre Afflitta!

GIOVANNI: Sei sodisfatto, o Mondo?

Sei sazio, o peccatore?

Contenta è la tua voglia iniqua e ria?

Mentre morto è Gesù, muore Maria!

GIUSEPPE (dà inizio all’adorazione dei Sacri piedi): Ferro spietato e crudo,

Cedimi! Cedi, omai!

E, se ardisti al mio Dio le sacre Piante

Ostinato forar con duol s’acerbo,

A trafiggermi il cor io ti riserbo!

(Fa figura di baciare i piedi e continua il rito della Deposizione, fino a togliere il chiodo dai piedi del Cristo).

Dopo lunga fatiga (sic)

Reso s’è già l’infido e sconoscente!

Su! Prendi, Maddalena!

E tu, fido Giovanni,

Con la fievole destra,

Giaché (sic) cedette il ferro,

Da’ pietoso soccorso al Corpo Santo,

Ch’a ischiodargli la man m’accingo intanto!

(Va a salire, fino ai bracci della Croce).

GIOVANNI (nellaversione antecedente: I DUE): Farò quanto m’imponi!

(Verso il popolo).

Stupisci, o peccatore!

Quell’Atlante divin, che l’Orbe tutto

Con un dito sostiene,

Eccolo imbelle alfin, sol per salvarti!

Quel Dio che tutto può, che tutto vale,

Fatto spoglia mortal, quasi impotente,

A soccorso mortal Egli soggiace!

Stupisci, sì! Ed ammira

Del Sovrano Motor la gran pietade!

Considera che sol per tuo amore

Morì su questo legno il Creatore!

GIUSEPPE (verso Nicodemo sopra le scale): Giaché (sic), mio Nicodemo,

Resta la fascia ben da te adattata

E uop’è dunque (cancellato: che) si dia

Al grande ufficio e pio

Principio, col schiodare il nostro Dio…

Deh! Piangi, empio mio core!

NICODEMO: Deh! Sospira, alma mia!

A DUE: Mentre che di te stesso il Redentore

Estinto vedi già, sol per tuo amore!

GIUSEPPE: Strale tiranno e duro!

NICODEMO: Chiodo senza vergogna!

(Battono il chiodo).

GIUSEPPE: Cedimi del mio Dio la man benigna!

NICODEMO: Seconda il mio voler! Cedi, spietato!

(Fanno forza).

GIUSEPPE: Che giust’e ben ch’adopri,

A DUE: Dandomi il mio Gesù caro e diletto,

Ogni tua ferità contro il mio petto!

GIUSEPPE: Già distaccossi alfin l’acuto acciaio.

NICODEMO: E questo pertinace anco resiste.

Ma, fa’ che vuoi! Le punte tue severe

Trofeo ne resteran del mio potere!

GIUSEPPE: Mondo, questa è la destra

Che l’essere ti die’! Mira, insensato,

Come vien resa già dal tuo peccato!

NICODEMO: Cambiò pensier! Alfin, cedette il ferro!

E tu, scemo mortale,

Desister non ti vuoi di tanti eccessi?

Mira, questa sinistra,

Ch’hai tradito col tuo tanto fallire,

La sentenza darà del tuo morire!

A DUE: Si via, si deponghi dal legno!

GIUSEPPE: E voi fedeli, intanto…

NICODEMO: E voi devoti, intanto…

Date del vostro duol segno col pianto (cancellato: canto)!

SEPOLCRO (n. 1)

Ignoto

Di questo copione si è trovata la parte di Giuseppe, introdotta dalle parole finali delle battute immediatamente precedenti. Cfr. Archivio Storico del Museo San Nicolò.

Gius: Ecco la fredda spoglia

Del Re del cielo; ecco il signor del tutto

Lacero, esangue, e senza spirto, e vita.

Oh barbara inudita

Ebraica tirannia! Chi lo vendette

A prezzo vil; Chi queste Sante membra

Aggrava di catene; altri il percote

Sul Divin Volto; altri di sangue un fiume

Con duri aspri flagelli

Dalle vene gl’aprì; né sazio ancora

L’empio furor della crudel Giudea,

Né di scherno il motteggia, e dure spine

Per diadema gl’appresta; un tronco infame

Sugl’omeri gl’adatta; indi a due ladri

In mezzo lo sospende, ed a tre chiodi

Tutto del corpo afflitto il grave peso

Crudelmente abbandona, e non si arresta

A si ferale orror; lo vuole estinto.

E’ morto già: cruda sionne ai(sic) vinto.

Nicod: Inorridisco e tremo.

Gius: Al fin qual ria vendetta

Giunge a tal passo? Il libico Leone,

L’iraconda Tigre, ah non si vide mai

Incrudelir su d’un estinto Agnello,

Anzi sdegna adirarsi, e questa, e quello.

Fu sovente la morte

Scampo allo sdegno, ed’all’invidia(sic) altrui.

Con questo si assicura

Di Caino il livore,

Con questa il suo timore

Sperò di cancellar l’indegno Erode.

Qual timor ti sorprende,

Che sul misero avanzo

D’un’empia crudeltà sfoghi lo sdegno

Il popol contumace?

Mad: …

A questo passo?

Gius: Io gelo.

Giov: Io son di sasso.

Gius: Augusta Donna, amiche‚, assai donaste

Al sangue, ed’all’amor, solo un momento

Si conceda al dover; tutta in un punto

L’anima si raccolga; è tempo ormai

Che la pietà risvegli al vostro core

Gl’ultimi estremi ufficj:

Convien degno Sepolcro al corpo estinto

Dell’amato Signor, pria, che s’esponga

Alla cruda licenza

Dell’infido Israele; ogn’alma è rea

D’un delitto sì nero; e se per duolo

Natura à già sconvolto

Sin da cardini suoi tutto il creato;

Sol L’Ebraico furor siegue ostinato.

Ma: Ssa: …

Abbandonar lo deggio?!

Gius: Più di querele

(Perdona afflitta Madre)

Tempo questo non è; qualche tumulto

Del popolo insolente

Potrà farci temere…

Mad: …

E fra ‘l timore.

Gius: Amico, al sacro avello

Su via, si tolga il sasso.

(Aprino il sepolcro)

Giov;, Cleof:, e Mad: Nostra guida sarà l’eterno Padre.

Gius: A questa estrema doglia

Più non regge il mio cor.

Nic: …

Gl’empiti del mio seno.

Gius: Patto non v’à che a tal dolor soccomba…

(Seppelliscono Cristo)

Gius;, e Nic: Si chiuda per Pietà la sacra Tomba.

(Chiudano il sepolcro. Partino le Marie. Restano Giuseppe, e Nicodemo: Arrivano Misandro, e Centurione)

Mis: …

D’ufficio indegno?

Gius: A quest’orrido segno

Non credea, che giungesse

La pervicacia tua: quando si squarcia

Dal santuario il vel; quando gl’estinti

Da j gelidi Sepolcri

Tornano a nuova vita: il Sol, la Luna

Di tenebre s’ammanta; e mal sicuro

Sotto alle piante ondeggia

L’incostante terreno; e quando alfine

Sin dagl’ordini suoi

La natura sconvolta, egra compiange

L’eccidio del suo Dio, del suo Signore;

Tu lo chiami malvagio, e seduttore?

Il sacrilegio labro(sic)

Avvezza a più rispetto.

Mis: …

Il mio disegno.

Gius: Vanne, mostro crudele; Avrai d’intorno

L’orror del tuo peccato.

Nic: …

Il ciel matura.

Gius: Gerusalem, Gerusalemme ingrata,

Piango la tua sventura; or già s’avvera

Il funesto presaggio; a terra sparse

Saran tue mura, e le superbe torri;

Distrutto il tempio; i sacerdoti uccisi;

Alla morte crudel la fame, il ferro

Apriran mille vie; l’orrido peso

Di schiavitute soffrirai dolente.

Ogni straniera gente

A dito mostreratti; ed’il Giordano

In vece d’onde cristalline, e chiare,

Trarrà il tuo sangue, ed il tuo pianto al mare.

Nic: …

E senza Tempio

Gius Ma noi fidi mortali

Nell’eccidio fatal gran parte abbiamo.

Questo è giorno di pace.

Si pianga il nostro fallo, e da quel sangue

L’innocenza primiera

A noi ritornerà.

Nic: …

Inondi il nostro error.

Gius: Sconfisse averno

La morte di quel Dio.

Nic: … il fio.

Gius: Adori ogn’Alma fida.

Nic: …

Umano core.

A due: L’amante Redentore.

Gius: Ché con sì acerba pena,

Nic: Ché con sì cruda morte,

A… Ci aprì del Ciel le gloriose porte.

CALVARIO (n. 2)

Ignoto

Di questa versione sono state individuate molte copie riguardanti le parti dei singoli personaggi (specie quello di Giuseppe). Le parti in corsivo sono quelle che caratterizzano nel senso della completezza il copione generale. Cfr. Archivio Storico del Museo “San Nicolò”.

Interlocutori

Maria Santissima, Maria Gleofe, Maddalena, Giuseppe, Nicodemo, Giovanni, Misandro. E poi Centurione.

Mentre sono al Calvario arriva Misandro con soldati e due manigoldi con bastoni di ferro.

Mis: Principi, e qual caggion vi tragge in questo

Luogo infame e funesto? A voi non manca

Più nobil suol; si rende omai (sic) sospetta

Al Sinedrio non meno,

Che a Cesare, alla Turba

Questa vostra dimora

Gius: Un nobil cor,

Timor non à(sic), qualor pietoso assiste

Un’ innocente esangue.

Nic: Anzi allor quando

Non può serbarlo in vita

E all’esamine spoglie

L’estremo onor funebre

Generoso ne appresta;

Se tu non sai nobil virtute è questa.

Mis: Degna di lode invero

E’ la vostra pietade; io non contendo

Questa nobil virtù; solo la Legge

Adempier mi conviene; quest’empio ingannatore

Fu dannato a morire; il nostro rito

Eseguiscasi, o prodi,

Colla ferrata mazza

Al seduttor malvagio(sic)

Com’è costume le marcite gambe.

Gius: Tanto ardir non avrai perfido indegno.

Nic: Scostatevi o v’uccido.

Mis: A questo segno

L’insultano i ministri? Orsù Campioni

Eseguite il comando.

Gius (tira la spada): Chi accosta, proverà vindice il brando.

Mis: Qual timore v’affrena? Orsù, codardi

Infrante infrante (sic) l’ossa

Per dare in mille schieggie (sic)

Allo schifoso avanzo

D’un ribelle perverso; il cenno mio

Eseguite suvia (sic),

Che questo acciar ve ne aprirà la via.

(Tira la spada)

Gius: Temerità inudita.

Mar SS: De qual dardo ferale,

Qual colpo inaspettato in me s’avventa?

Dunque contro il mio sangue

Son dall’Ebreo furore j sdegni eterni?

Ancor di vita privo

Sarà di crudeltà scopo e bersaglio?

Io tremo a tanto orrore

Ogni vena mi gela e manca il core.

Nic: O sacrilego insano

O scellerato ardir! Anima indegna

Che pretendi alla fine?

Mis: Quella legge eseguir che tu perverti.

Gius: E che legge è mai questa

Che fin gl’estinti oltraggia iniqua e fella?

Nic: Massima crudeltade anzi s’appella.

Mar.SS: Qual tiranno piacere

Misandro mio diletto

Stimola il tuo furore

A si cruda pienezza? Il figlio mio

Di’, qual fallo commise?

Benefica lo vide

Tutto Isdraele (sic), eppur l’odio malnato

Doppo mille tormenti

Lo confisse ad un legno, infin che l’Alma

Sul patibolo rese, altro non miri;

Che lacero, ed esangue il morto frale

Qual inumano core

Incrudelir può mai

Contro un misero estinto? Ah, se il tuo sdegno

Se sfogar l’ire tue forse pretendi,

Immergi in questo seno

Il tuo ferro fatal, squarcia, dividi

Queste viscere mie; deh questo sangue

Appaghi il tuo furore.

Mis: Ah, madre infame

Di quel mago fellon, tu ancor presumi

Regolare il mio zelo?

Piomberà sul tuo crin l’ira del Cielo.

Ministri ancor sì lenti

Quanto imposi adoprate, jo così voglio.

Mar. Cheof: Che barbara agonia!

Mar. Mad: Che cor di scoglio!

Gio: Deh, per pietà Rabbino

Disseta il tuo rigor, j nostri patti

Sia scudo all’ire tue; lascia…

Mis: Ancor voi

Voi perfidi seguaci

Del Nazareno infame

Proverete la morte, ah no non resta

Cesare invendicato.

Nic: Queste son di Misandro

Le magnanime imprese? E questa è forse

L’eroica sua virtù? Si sfogan l’ire

Con l’infelice spoglia

D’un estinto innocente? Usa più tosto

Nel supremo poter di cui t’abusi

La raggion, che perdesti.

Mis: A quest’eccesso

Principe sconsigliato

Giunge la tua arroganza?

Così così t’opponi

Di nostre Sante Leggi

Al giustissimo rito, un dì vedrai,

Vedrai con tuo condoglio

Quanto ti costa un insensato orgoglio.

(Arriva Centurione)

Appunto invitto Duce.

Giungesti a vendicar lo lo zelo mio,

Un mosè vilipeso

Un Cesare sprezzato.

Cent: Qual tumulto? Che avvenne?

Gius: Duce, la tua virtute

Un(sic) scellerato affreni

Mostro di crudeltate. Il tuo sembiante

Abbastanza appalesa il cor tiranno.

Di Cristo in duro affanno

Senza menoma colpa al fine estinto

Cerca il perfido indegno

Le lacere spezzar gambe adorate.

E ‘l feroce attentato

Chiama di nostra legge un giusto zelo.

Cent: E ‘l suol non s’apria? E nol punisce il Cielo?

Ecco amici ‘l mio braccio, ecco il mio sangue,

Se versarlo è bisogno,

Tutto lo verserò.

Mar:SS: Sento nel petto

Rinvigorir la speme, e veggo un raggio

Della tua fedeltà nel tuo coraggio.

Mis (parla a centurione): E tu così difendi

Del mio zelo L’onor? contro dell’Empio

Gridan le Leggi, il Popolo congiura,

Tremano j sacerdoti; e sol tu sei

A favorire j rei? con loro a parte

Proverai di più pene il fier conflitto,

Se complice ti veggo al gran delitto.

Cent: E bene, dunque la legge

Tu pretendi adempier? Dunque il tuo Zelo

Essercitar pretendi? Or senti, e ‘l guardo

Sostieni, se tu puoi, tutto il rossore

Dalle guancie deponi. Un che non ebbe

Che falsi accusatori, un che convinto

Mai non fu di misfatto, un giusto, un Dio

Si condanna a morir, ne ‘l zelo tuo

Si muove a tale orrore; ad ogni dritto

Di raggion si dispensa, al suo morire

Precede ogni tormento, il suo delitto

Fu l’innocenza sol, gl’estremi eccessi

I beneficj suoi, tosto si dona

De Popoli al furor, Lo vuole estinto

L’odio de Sacerdoti,

Il fiero invido (infido?) sdegno

De farisei, de scribi, e lo condanna

Del preside il timore, e quella legge

Che dissimuli allora, e non difendi,

Contro un’estinto esercitar pretendi?

Mis: E dove mai vi legge

Così barbara Legge? I nostri riti

Non impongon giammai sì grave eccesso.

Nic: Ne Cesare, o Mosè l’à mai permesso.

Mis: Dunque tanto s’avanza

La tua temerità? Chiami innocente

Un reo di mille colpe? Infidi appelli,

E di mera calunnia indegni autori

Anco j sacri ministri? Ingiusto vuoi

Un Preside, che adempie

Di Cesare le veci? E quanti in uno

Orribili delitti! Odimi, e trema.

Potrei con questo ferro

Il tuo orgoglio punir, punir quest’empi;

Ma al Consiglio, ad Augusto

Si serbi la vendetta; a loro, a loro

Ridir saprò, come sprezzasti ardito

La giustizia, e l’onor del Sacro rito.

De’ tuoi folli trasporti

Allor ti pentirai, quando sul capo

La bipenne fatal vedrai votarti.

Cent: Non temo il tuo furor.

Gius(a Misandro): Deh taci e parti.

Mis: So, che da voi s’ostenta

Magnanimo coraggio;

Ma i palpiti del core, i tronchi accenti,

E quel pallido viso

Son del vostro delitto

Un ben chiaro presaggio, orsù seguite

Vostri insani disegni, io non vel privo,

Adempite protervi

Vostra pietosa cura,

Ch’è l’estrema per voi nera sventura

Gius: Ah sconsolata Donna, in te si desti

Generosa virtù. L’acerbo duolo

Un momento sospendi. E’ tempo al fine

Che da quel duro legno

Si deponga il tuo germe.

Nic: Ah si permetti

L’opera nostra pietosa, e tergi il ciglio.

I rapaci avvoltoi, gl’ingordi lupi

E le affamate belve

Rispettano quel sangue; il solo ebreo

Cresce nel suo fallir!

Mar:SS: Ma dove o fidi

Quelle adorate membra

L’estremo suo riposo

Alla fine otterran?

Gius: Tutto è disposto.

I balsami odorosi, un nuovo avello

Ed un candido Lino, i nostri affetti

An(sic) per Lui preparato.

Mad: Ah mi si squarci

Il mio dolente seno,

Sì questo petto accolga

L’adorabile spoglia… oh Dio… ma come

Inaccorta vaneggio! ah non alberga

In cor superbo, e vile

Il Re del Ciel sino alla morte umìle.

Perdona eterno Padre

Il mio pietoso ardir, mentre col pianto

Compenso il mio delitto.

Ah sì v’intendo

Rimproveri crudeli! Indegna tomba

Saria questo mio core

Ingrato, e disleale: an più raggione(sic)

Di meritarlo gl’insensati marmi.

Cleof: E’ vero, è vero; allor, che ‘l Redentore

E sale la grand’alma in braccio al Padre.

Le dure alpestri rupi

Spezzandosi fra Loro

Mostraron il suo duol, solo ostinata

E’ La perfidia umana.

Mar:SS: Ah, che gl’ingrati

Costano un tanto sangue!

Un Giuda Lo tradì, quando alla cena

Amoroso l’invita, allor, che i piedi

Più col pianto gli bagna, allor che in cibo

Gli dà tutto se stesso; un Pietro il niega

Sol per vile timore, al fiero asfalto

L’abbandona ogn’amico; il rammenta

Che chi prova l’eccesso

De beneficj suoi,

Sconoscente cospira

A si barbara morte,

Fa il mio maggior tormento.

Gius: Amici, il tempo

Non si spenda in querele;

Giù dall’alte pendici

Cadon l’ombre notturne.

Nic: Eccomi accinto,

All’alta di pietà nobile impresa

(sale le scale)

Ahimè qual giusto duolo in questo seno

S’accresce in ogni grado! Il mio peccato

Da presso mi rinfaccia.

Gius: Ah che più viva

Si rende la mia pena, or che s’appressa

A queste afflitte Luci

L’effetto del mio fallo.

Cent: Da me riceve

Gl’ultimi ancor pietosi uffici.

Giovanni ascolta

Con Misandro a partir mentre mi affretto

A trattener rimanti

La sconsolata Madre. Il suo dolore

Funesterebbe ogn’alma. Del figlio assai

Assai tenera fu. Se forse eccede

Compatiscila amico. Alfin da lei

Una grande costanza

In questo amaro passo

Pretender non si può. In la consiglia,

D’ispirarle procura

Con l’esempio fortezza,

La reggi, la consola e seco adempi.

Nic: Oh Dio piangete

Pupilli abbandonati; ecco perdeste

Il più tenero Padre; or chi di voi

Cura si prenderà? più non avrete

Chi vi dispensi il pane, chi sazie renda

Le fameliche voglie: il dolce sposo

Afflitte Verginelle

Estinto è già per voi; Più non sperate

Le tenerezze sue, lacrime amare

Sono il vostro retaggio; è già perduto

Vedove sconsolate il vostro asilo?

Chi a vostri oscuri giorni

Darà lume, e ristoro? Ah sol vi resta.

Per funesto compagno un rio dolore,

Si stempri o sventurate in pianto il core

Su dolenti Pastori il vostro duce

E’ morto già, giungano al Ciel le voci,

I queruli clamori.

Vittima, e Sacerdote

Su quest’orrido altare

Spirò Sacri ministri

Il Pontefice sommo, il sommo Nume,

Scorra dagl’occhi vostri un caldo fiume.

Gius: Sparì la bella Luce,

Che al popolo smarrito

Le notti rischiarò. L’eccelsa verga

In fonte di salute

Più non apre i macigni, il Mediatore

Tra la morte, e la vita, il Figurato

Verace Giosuè, L’arca, la tromba

Che Gerico distrusse, a’ nostri sguardi

Già invisibil vi rese; e c’à(sic) lasciati

Dispersi, abbandonati

In mezzo a gente infida

Soli senza consiglio, e senza guida.

Nic: E’ questo il nobil serto,

Che al re de reggi à coronato il crine.

Barbare acute spine

Qual delitto puniste? E’ forse rea

Questa adorata fronte

De providi(sic) consigli,

Delle cure solecite(sic) amorose,

A’ favor de’ mortali? Ah no, l’orgoglio,

E La superbia altera

Dell’umana arroganza, ah questi furo

I fieri dardi, che le sacre tempie

Trafissero spietati.

Gio: L’acerbe aspre punture

In quell’augusto capo, j rei pensieri

C’insegnano a fugar.

Mad: Si Le mie colpe

Di fatto, ad alterezza un tal dialema

Mertano con raggion; mi si conceda

Un favor si distinto.

Mar:SS: Ah no, del duolo

La regina son io, su questa fronte

La corona s’adatta, e se la cruda

Inumana fierezza

Nuove spine apparecchia, ah per pietade

Perdoni al morto figlio, in me s’avventi

Cadan sul capo mio mille tormenti!

Cleof: Questa salda costanza

Sia d’esempio per voi ne’ casi avversi

Anime timorose, in voi s’imprima

L’eroica sua fortezza,

La tolleranza sua!

Gio: Ecco il ferro

(schioda j piedi)

Che libera rendette,

La nostra schiavitù; Le sacre piante

Che barbaro inceppò, scisse j legami

Del servaggio crudele,

Ch’oppressi ci tenea.

Gius: Questa è la destra

Che onnipotente a un tratto

(schioda la destra)

Formò la terra, il ciel; Lo scettro è questo

Che la perfidia ebrea rese al suo Dio!

Giov: L’ingordo empio desio

Dell’umana avarizia, ah la gran piaga

Impose, e caggionò; ma ‘l grande amore

Del nostro Redentore in questo giorno,

Con sì fiero strumento

A favor degl’ingrati

Segnò il decreto eterno

Aprì l’alta maggione, e chiuse averno.

Mis: Dopo un pegno sì grande

D’amore, e di pietà, non abusarti

Perfido ingrato cor, piangi, sospira,

Riconosci il tuo fallo; ah! questa mano

Sciolse le mie catene.

Cleof: Da questa può sperarsi ogn’alto bene.

Nic: Ah! Che mi piomba in seno

La sentenza fatal del mio fallire!

De fulmini, e dell’ire

Questa è la sacra palma; il duro chiodo

Ardito la trafisse; il mio dolore

Sprigionarla m’addita,

E ove morte sperai, trovo la vita.

Gio: Questa tremenda mano

Ogni petto ammaestra, in lei s’apprende

Generoso perdon; scaccia dal core

La rimembranza sua

Ogni cruda vendetta,

Ma sarà contro j Rei fatal saetta

(Scende il braccio del Cristo)

Mar:SS: Voi peregrini erranti,

Che per la via passate,

Fermatevi, e guardate

In questo afflitto core,

Se v’è dolor, che uguagli il mio dolore.

Gius: Madre, dolente madre, il sol già cade

Insepolta non lice

Lasciar l’estinta spoglia al nuovo giorno;

Destinato è al riposo.

Gio: Ah Madre…..oh Dio!….

Mar:SS: Madre mi chiami, e di chi son più madre?

Estinto è ‘l figlio mio, l’unico pegno

Delle viscere mie.

Gio: In noi ravvisa

Il figlio, che perdesti; il gran decreto

Là ne’ volumi eterni,

Così ‘l Padre dispose.

Mar:SS: Adoro umile

Il volere del Ciel; ma questo amplesso

Mi si conceda almen; l’ultimo addio

Mio germe è questo ah che un mortal dolor

M’aggrava l’alma, e mi trafigge il core.

Nic: In questo amaro caso

Non à cor, chi non piange; jo da miei lumi

Dolente verserò perenni fiumi.

Gius: A spettacoli sì crudo

Qual petto non si muove? Ah che nel seno

Sento scoppiarmi il core.

Cent (poi cancellato): E non m’uccidi

Debole mio dolor?

Giov: Da questo sangue

Si Lava quella macchia,

Che dell’impuro fonte in te deriva

Crudo mortale; ma grato, e non superbo

Ti renda il suo favore.

Quant’è più grande il dono,

Chi n’abusa è più reo; pensaci, e trema.

Gius e Giov: Del redentor lo scempio

Reca salute al giusto, e morte all’empio.

Fine del Calvario

SEPOLCRO (n. 2)

Ignoto

Nel manoscritto le parole in corsivo sono riquadrate (o, più raramente, cancellate). Cfr. Archivio Storico del Museo S. Nicolò.

M.Verg: Figlio, diletto figlio e non è questa

L’amata chioma tua, che di splendori

Inpoveriva(sic) il sole?

Com’or (ohimé, dolente!) io la rimiro

Inzuppata nel sangue? E, quel ch’è peggio,

Senza legge ordinato il tuo bel crine?

Un serto la trattien d’acute spine!

(Gli toglie la corona di spine)

Sì, si! Cessano i crudi

Di tormentarmi il figlio!

Che soffrir non può più! Egli è già morto!

E se del sangue tuo sazi non siano

Circondatemi il capo!

(Ne bacia il capo)

E trafiggete senza alcun periglio

La Madre afflitta in spregio(?) del suo figlio!

Gius: Ohimè, pietoso cielo! Come permetti

Che a tal spettacolo io sopravviva?

E come avrò, meschino,

Tanto ardir, tanta forza,

Che possa tollerar dolor sì acerbo?

E come mai, Signore,

Con temerario sguardo,

Senza portarmi al core sìncopi eterne

Oserò di mirarti, esangue, estinto?

Ahi, diletto Gesù, Re dell’empiro!

A che lasciar l’afflitta Madre tua

Nella tutela mia?

Giaché (sic), senza di te, che solo sei

Per la strada del Ciel la sinecura (?),

Sarò nel mar del mondo,

Ch’è sempre affluttuante,

Nave senza nocchier, pilota errante!

M.Mad: Mia diletta Signora,

Madre sconsolata,

Piaccia all’alto motor, al sommo,

Mitigare alla fin nel nostro core

Li replicati spasmi, il duol tiranno!

E, se per il mio peccato oggi ravviso

Di vita spento il mio Maestro Amato,

Convien, conviene a me

(Per ché la più perversa e scellerata)

Più d’ognun lacrimar! Sin che stillando

L’empietà del mio core in pioggia amara

Facci col pianto mio un vasto mare!

M.Cheofe: Ahimè! Che del mio ben la morte acerba

Non limita dolor nei petti umani

E se tu, Maddalena,

Con reciproco amor piangi quest’oggi

La morte del mio ben, del mio Gesù,

Che far degg’io, meschina,

Ch’oltre al tenero affetto

Con che l’amo e l’adoro, egli ne viene

Per legge di natura a me congionto?

Ahi! Sì, che in questo caso

Vuol la ragion del sangue

Mi prescrive l’amor

Ch’oggi nel pianto io mi stemprassi il core!

M.a Verg: Tormentato mio cor non più lunghi

Di speranze fallaci

Che avrò vivo altra volta

Il dolce figlio in mia balia tornato

Poiché s’ora lo guardo

Di piaghe e vituperj onusto e cinto

L’averò tutto e ver quando risorto

Egli sarà, ma glorioso allora.

E’ per adesso, ahi duol, che il cor m’affanna!

Vederlo mi convien lacero estinto

Per restar la dolente in me,

Senza di te mio bene

In preda al dolor, fra un mar di pene.

Gius: Madre, madre benigna

Più non stimo decente

S’ore passan con rammentare il duolo.

Perché voi ben sapete

Che non può partorir pianto sì acerbo

Giovamento verun. Massime poi

In quelle circostanze ove si scuovre

Poco tempo che passa anco nocivo.

Egli è ver che ne vale

Per sfogo al core afflitto

Quando d’aspro dolor viene cruciato.

Ma il turbine che sovrasta

D’una plebbe (sic) tiranna inferocita

Contro il morto Gesù, ch’è vostro figlio,

Mi dà che dubitar d’altro bisbiglio.

Onde madre pietosa

Parmi che il moderarvi

Convenevole sia

E nello stesso tempo omai vi piaccia

Concederci del figlio il corpo esangue

Per seppellirlo in quella tomba oscura.

Perché solo così (com’jo ho ideato)

Resta deluso alfin l’ebreo spietato.

Nic: Deh, non più lacrimare

Madre dolente a risvegliar le pene;

Perché solo è costume

Del volgo poco accorto

Alla morte portar pianti in tributo.

E’ ben vero, signora

Che la micrazion del mio Gesù

Sia d’ogni altro mortal, v’è più sensibile;

Non di meno, riflettendo

Ch’egli doppo tre dì risorgerà,

Mitigare dobbiamo del core afflitto

L’amarezza distinta;

E s’egli è quel tesoro

Che in questo mondo immondo

Non vid’occhio mortal, non che l’empio

Che l’ebreo contumace

Fuoruscito del Ciel ladro perverso

Predarcelo procura,

Convenevol egl’è che senza indugio

Per declinar da sì crudele guerra

Abbia sicuro asilo oggi sotterra.

Ma. Verg: Dunque fidi volete

Seppellire il mio bene? Ahi, no! Che fate?

E come resterò meschina sola,

Lungi del patrio suol, senza del figlio?

Ohimè! Ohimè! Che duro caso è questo!

E’ ben ver che non può (cancellato: consolar) corpo senz’alma.

Ahimè consolar mi basta solo

Aver dinanzi all’occhi

Qualunque egli si sia il figlio dolce.

Onde se voi volete

Seppellire Gesù con esso ancora

Seppellite Maria

Che giust’è ben che in qualsisia perielio

Corra sorte comune: la madre e ‘l figlio.

Figlio! Figlio, mia vita!

T’abbraccio e pur t’adoro, o mio diletto.

(l’abbraccia)

Gio, Mar. Mad, Mar. Cheofe: Riverente ti bacio

Mar. Verg: La bocca santa

Mar. Mad: Il pie’

Cheofe: la man

Gio: Il petto

In cui per gloria mia scoverti

Provai senza velame

Arcani imperscrutabili e divini.

In così acerbo e lacrimevol stato

Che far degg’jo meschino?

Deh! Svenami dolore,

Che mirar non poss’io con ciglio asciutto

Grondolante di sangue

Il sommo e caro ben, il verbo etereo.

E s’è ver che a te stesso acerbo sej

A sì ferina vista

Fa ch’io distilli intanto

Per l’umidi occhi miei un mar di pianto.

M. Mad: Maddalena infelice

Delli casi presenti il rio tenore

Bandisci dal tuo petto ogn’allegrezza

E fa che in esso regni per consuolo

Con eterno marcir, perpetuo duolo.

M. Cheofe: E tu così codardo

Regoli, empio dolor, l’affetti miei?

No no vogl’jo quest’oggi

Che nel campo dell’Alto

Sconfitto dalla doglia e dall’amore

Resti dell’agonia preda il mio core.

M.Verg: Compagne, del mio duol amate suore

Giovanni a me diletto

Cedete pur cedete.

I profluvj del pianto al pianto mio,

Che solo è privilegio

Della madre dolente

Piangere il figlio morto amaramente.

Gio: Addolorata madre egl’è dovere

Che cediate ancora

Alla raggion l’acerbità del duolo

E solo vi consoli

Ch’à disposto così l’eterno Padre,

E’ ben vero che sempre in tali casi

Suggerisca natura al core umano

Più teneri gli affetti.

Questi modera, ad onta

Della sorte comune, vostra prudenza.

M.Verg: Ah, Giovanni! Giovanni!

E vuoj ch’jo soda stia

Vedendo il mio sostegno al suol disteso

Morto per l’altrui colpe il figlio amato?

Gius: Vi bisogna aderire, signora afflitta

Alle nostre preghiere

Per quel solo riflesso

Che l’ebreo pervicace anco pretende

Che insepolto ne resti il corpo santo.

Affinché meglio possa

Contro luj sodisfar l’ire lo sdegno;

Per lo che vi conviene

Per non far che confronti

Al crudo lor pensier ferito ancora

Seppellirgli Gesù senza dimora.

M.Verg: Mentre così vi piace, invitti eroj,

Io vi concedo il figlio:

Fate ciò che volete,

Dategli sepoltura

Ch’jo madre sconsolata a pieno ciglio

Me piagerò dolente una col figlio.

Gius: Su dunque, Nicodemo

Discovriamo il fortunato sasso.

Nic: Eccomi accinto all’opra.

(Discovrono)

M.Verg: Figlio! Figlio Gesù!

Ahimè, senza di te la madre afflitta

Qual conforto avrà maj

Se non d’eterno duol, d’eterni guaj?

Gio: Ed io ahimè dolente!

Senza il caro mio ben, senza il maestro

Che far maj posso in regolar me stesso?

Ahi! Sì che se sotterra

Ten vaj per riposar mio dolce amore

Ti segue l’alma (canc: mia) in compagnia.

Madd: E come, ohimè meschina

Farò senza Gesù, senza il Signore?

Ah, no, che se ti piace in cavo sazio

Ricovrar le tue membra, in punto oscuro

Ti prometto passar la vita mia;

E sin che viverò con duol spietato

Piangerò la tua morte e ‘l mio peccato.

Cheofe: Dunque caro mio ben; di questo parto

Gioia senza valor, tesoro immenso,

Dove mi volgerò

Per conforto del duol che mi tormenta?

Ahi, sì che se in quell’urna

Tramonta il sole divino,

Trova, fatto mortal, la tomba un Dio.

E’ d’uopo che sia eterno il pianto mio.

Gius/Nic:Tempo non è già più di lacrimare.

Gius: Si prenda Nicodemo

Il corpo santo e pio:

Seppelliscasi omai…

(Prendono il corpo che nel mentre s’accostanto al Sepolcro sono trattenuti da Maria)

M. Verg: Ohimè, ohimè! Fermate,

Miej diletti, fermate:

Lasciate che un’altra volta

Pria che sottera vada adori il figlio,

Lasciate che di nuovo

Lo bacci(sic) e l’abracci. Ohimè, che miro?

Figlio dell’alma mia guarda la madre

Come sola ne resta in tante pene,

Ma se al sommo suo padre così piace

Ti bacio e stringo al sen figlio diletto

Vattene a riposar, sij benedetto.

(Lo seppelliscono e cuoprono il sepolcro)

Gius./ Nic: Si covri(sic) omaj la tomba.

Gius: Ebreismo crudel sej sodisfatto(sic)?

Nic: Inumano giudeo pretendi più?

Gius: E’ spenta già la vita.

Nic: Già pervenne all’occaso il sol de giusti.

Gius: Haj più che machinar(sic) contro di luj?

Nic: Dura più nel tuo cor l’ira, lo sdegno?

A Due: S’haj già ridotto ugual al proprio niente

Il gran figlio di Dio, l’onnipotente.

M.Verg: Ed io la sconsolata

Che far deggio meschina?

E dove? Dove ad incontrarne vado

Ohimè! Senza del figlio

Nel mondo sconoscente altro periglio;

Ma no, ne vengo a te Re dell’Empiro

Che come padre e creatore mio

Ad onta dell’abisso in ogni stato

Guida tu mi saraj, duce e signore.

Mi parto, peccatore: infido ebreo

Contumace ti lascio e se sospiri

Il perdono otterrai da Dio sdegnato

Piangi severamente il tuo peccato.

Gio/M.Mad/M.Cheofe: Resta insensato omaj

Che del tanto fallir la pena avraj

(sopraggiunge Misandro con soldati)

Mis: Elà, elà! Che si fa più, rabbini,

In questo luogo ancora?

S’è sepolto l’infame

Che dispiacciaste(sic) voj per santo e giusto

Discostatevi omaj, che non conviene

Ad altri chi che sia su questo suolo

Orma lasciar, forché(sic) al Misandro invitto;

Tanto Ponzio comanda e tanto esige

Armato di raggion l’arbitrio mio.

E già per sbaraglia vostri disegni

Qua ratto giunge

Qual fulmine di Marte il mio valore.

E se voj forsennati

In atto così vil siete impiegati

Oggi spetta al mio core

Qual foriero di zel armar lo sdegno.

(Alli soldati, li attorniano il sepolcro)

E conviene anco a voj,

Fidi commilitoni, d’avanzare

Per comune interesse

A passi di trofej le vostre imprese.

Rimbombi l’aere tutta

All’orribile suon di vostre trombe.

(Si suonano le trombe)

E formando quest’arme al vostro ardire

Di fellona ad onor campagna aperta

V’ecciti a dispensar stragge (sic) e vendetta.

Voj scienti(sic) già siete

Che in questo enorme sasso è seppellito

Quel Nazzaren sacrilego e perverso,

Quel mago incantatore

Che sotto manto mansueto e pio

Fece nomarsi per figliol di Dio.

Quel d’esso, o prodi ebrej

Che vantò demolir tutto ad un tratto

Il sacro tempio e di miglior struttura

Darcelo fra tre dì costrutto a pieno.

Quel ribaldo fellon che vantò pure

Esser Re d’Israele.

E che pur doppo(sic) morto

Il terzo dì immortal risorgerà;

Per lo che vi conviene

Con ogni accuratezza

Con ogni attenzione

Custodirlo in quel sasso ove indegno

Qualesacrando mostro omaj ne giace;

Affinché si precluda

Alli seguaci suoi qualque(sic) speranza

Di furarlo alla fine.

Né da voj si conceda

Che giunga a mirar alma vivente

Altrimenti in voj stessi jo vi prometto

L’ire tutte sfogar ch’ho dentro il petto.

Ma pur che mi sottragga

Con più sano consiglio al mio sospetto

Con suggello segno la tomba.

(Segna il sepolcro)

Miratelo guerrieri, incombe a voj

Farla da valorosi

E s’alcun petulante

Oserà d’accostersi all’urna infame

L’ordino che ad un tratto

In più brani si squarci e poi vedremo

Con soda veritàde

Se quel furbu assassin risorgerà.

Parto Guerrier, addio,

Da Cesare men vado

Anco di Ponzio l’operato ingiusto

Là si discuta al tribunal d’Augusto.

E se al temuto nome di Misandro

Cedono umiliati armi e guerrieri

Per la causa comun, per quest’affare

Sconfiggerò con il mio brando forte

Se possibile sia la stessa morte.

(Via e restano li soldati)

Gius: Sia pur lodato il Ciel che ti partisti

Mostro crudel al fine.

Vanne sì, vanne pure,

Ed ovunque rivolgi il passo errante

Sappj che ti sovrasta

Dell’oltraggiato Ciel vindice l’asta.

Nic: Vanne pure ed apprendi

Che nemico di Dio per ogni stato,

Omicida, averaj il tuo peccato.

(Verso il popolo)

Gius: E tu, rio peccatore…

Nic: E tu scemo mortale…

Gius: Deh, piangi il fallo tuo…

Nic: Piangi l’errore…

Gius: E se per ricomprarti

Dal dominio di Pluto il verbo eterno

Contentossi morir con tanto scempio

Gioisca ogn’un gioisca.

Nic: E se sol per amore,

Per liberarti dall’eterna morte,

Fatto mortal, per te morì Gesù,

Godi l’uomo redento.

Gius: Si sgombri ogni amarezza…

Nic: Su, via. Ne cessi il lutto…

Gius: E festeggiando il mondo…

Nic: Ed urlando l’abisso…

A due: Con eco assaj giuliva…

Gius: L’aer tutto risuoni…

Nic: Ed ogni speco brilli…

Gius: Gridi l’uomo redento…

Nic: Giaché(sic) data a la colpa al cieco oblio…

A due: Pera, pera l’inferno e viva Dio.

Fine

CALVARIO (n. 3)

Ignoto

Le parti in corsivo nel manoscritto risultano riquadrate o cancellate. Cfr. Archivio Storico del Museo San Nicolò.

Interlocutori

Maria Verg, Maddalena, Ma. Cleofe, Giovanni, Giuseppe, Nicodemo, Misandro

Ma:Verg: Figlio, diletto figlio.

Così dunque ti miro, et avrò core

Da tollerar sì dolorosa vista?

No, no, deh! Sia permesso

Per far men grave ogni tormento mio

Teco spirar, teco morir anch’jo,

Alma di questo core

Deh, non moltiplicar prodiggi(sic) invano,

Che non ha dell’umano

Stravaganza sì strana et inaudita

Restar, spirando l’alma, il core in vita

Ma tu non parli , e il tuo silenzio accresce

Più insoffribile pena al mio cordoglio:

Rispondi, o caro, io son tua Madre, quella

Che nove mesi ti portai nel ventre.

Quella che ti nutrij Bambino al petto,

Per divino favor riconoscendo

Le tue futura, or già presenti, angoscie(sic)

Colle lacrime mie, più che col latte;

E tu sovente a mille vezzi in preda

Per consolarmi al quanto

Colla tenera man tergevi il pianto.

Si si la stessa io sono (cancellato: son jo), che non mi vedi?

Ma con chi parlo, ove il dolor mi ha scorto!

Come può favellar, s’egli è già morto?

Moristi Figlio, ahi duolo

Et io, se sopravvivo a un tal dolore,

O non son Madre, o pur di tigre ho il core.

Mia speranza gradita

Se tu per sodisfar l’eterno Padre

Fra tormenti sì rei spirasti in croce

Come per compiacere

La tua pietosa, e addolorata Madre

Non permetti ch’io dietro a te morissi?

Non ti raccordi quante volte, e quante

Per non sentire l’angosciose doglie

Che in essermi lontano io tolleravo

In più lunghi viaggi

Mi chiamasti Compagna, or perché dunque

Per non seguirti l’anima imprigioni

In più spietati affanni m’abbandoni?

Sì figlio sì, lascia che ormai ti siegua

che purtroppo disdice

Viver senza speranza una infelice.

E pure jo resto in terra, e tu nel cielo

Ten voli, o mio diletto,

Ahi, che se più resisto a un tal dolore

O non son Madre, o pur di tigre ho il core.

Mio adorato Gesù, dov’è fuggita

La maestà del tuo leggiadro volto

Per cui di santo ardor restai infiammata?

Il geminato sole

Che nel ciel di tua fronte ogn’or splendea,

Da quale infausta nubbe(sic)

Oggi venne eclissato?

Il seren del tuo ciglio

La tua malata bocca

Chi amareggiò, chi intorbidò, mio Bene?

Ah! si lo so , più che il giudeo rigore

D’ogni tiranna crudeltade armato

Così ti ha scontrafatto il mio peccato.

Ma se la rea son io, tu l’innocente

Com’è tu di mie colpe il fio ne paghi?

Se le leggi del mondo

Danno al giusto la morte

Purché il reo non si salvi,

Come il tuo santo Amore

Ogni umana politica deride,

Purché salvi l’iniquo, il giusto uccide.

Ma sa dal tuo morir / benché innocente /

Fu appagato l’Amore

Con troncar la mia vita

Barbicata nel suol d’ogni malizia

Come non si soddisfa la giustizia?

Cleof: Cieli ed’anche(sic) soffrite

Mirar senza disciogliermi in diluvj

Di lacrime inondanti

E fulminar con tuoni di sospiri

Del nostro Creatore l’onte, e j martiri?

Ma a che di voi senza raggion lagnarmi,

Di me vuò querelarmi

Che non distempro gl’occhi in due ruscelli;

Perché voi vel godete

Nell’immensa sua gloria eternamente

Quand’jo trista, e dolente

Con troppo amara sorte

Fatta prima ne fui dalla sua morte.

Sì sì, son io, la stolida, la ingrata

Perché basto a soffrire

Sante (o tante?) perdite mie senza morire.

Giov: Mio Maestro, e Signore

Cossì(sic) dunque ci lasci, e qual conforto

Porrem senza di te sperare in tanti.

Rammarichi, e condogli,

Se tu che sempre fosti

De nostri cori l’allegrezza, e il gaudio

Afflitti ci abbandoni

Chi basterà per consolar tua Madre?

Queste da me dogliate

Chi potrà confortar? Per me non vaglio,

Perché il Coltello istesso

Con spasimo inaudito,

Che trafisse il lor core, ha il mio ferito.

Mestiere è dunque, che c’infondi spirti

O che ci lasci almeno

Come vivo sortì, morto seguirti.

Ma.Verg: Figlio e a che tardi a consolarmi, ancora

T’opponi al mio morir, né ch’jo m’appello

Al tribunal di tua bontà schernita!

Ella non soffrì mai

Che tu non esaudissi j voti umani;

Or, s’è così, perché a tua Madre solo

Non vorrai compiacer? Si vuò morire:

Avverti che se ‘l nieghi

Forz’è che il mondo dica

Che, non più madre, ti sarò nemica.

Giov: Madre cessate: al duol del primo Figlio

Che già morì, sottentri in voi l’amore

Di chi a tal grado fu secondo ammesso:

E se fin’ora il nostro affetto in bocca

Vi ha posto più querele

Perché dal figlio abbandonata foste,

Non fare ch’jo per la raggion(sic) medema(sic)

Ch’or di vita vi spoglia,

Uccidendovi il duol, di voi mi doglia.

Gius: Assistetemi o spirti: il tempo è giunto

Del bisogno maggiore. Oh Dio, che vista!

Nic: A spettacol sì mesto

Altro che core, altro che ardir si cerca.

M.Verg: Giovanni ohimé!

Qual con nuovi sussurri all’alma mia

Fiero timor ritorna?

Qual più va machinando(sic)

Di strage al Figlio mio l’ebreo crudele?

Dì pur chi sono questi

che pressatesi a noi

Nei lamenti alternati

Sembran commiserar con pianto rio

La sciagura commun(sic), lo stato mio?

S’eglino sono Ebrei:

A tenor del mio duolo, io posso dirli

Coccodrilli spietati,

Se uccidendo il mio bene

Quel ch’è tutto di me l’anima mia

Perché non pago ancora il lor furore

Con spietata Pietà piangon l’errore.

Se son Giudei perversi

Che non sazj d’avermi ucciso il figlio,

Tornan contro lo stesso

A satollare le spietate voglie,

Pregoti, o mio diletto,

Che alla gran rabbia lor me stessa esponi

Purché si dica al fin, che ‘n compagnia

Morto il figlio Gesù, morì Maria.

Giov: Non, no, madre pietosa,

I palpiti del cor cessino affatto.

Questi ch’ora mirate

In abito d’ebreo, sono in effetto

Dell’esangue mio ben, del figlio nostro

Discepoli fedeli;

Giuseppe è l’un, e Nicodemo è l’altro,

E mi sembran entrambi,

che qui sian portati

Per distaccar da quel spietato legno,

L’amato mio Signor, L’unico pegno.

Cheof: Sì sì, tant’esser deve,

Poiché all’accenti lor ben ho compreso

Metodi di pietà, sensi d’affetto;

E se manca la tomba, in cui posarsi

Debba l’esangue corpo, io mi prometto

Per bara questo seno, per urna il petto.

Mad: Ed io, che farò mai / o me dolente! /

Io, che la causa fui coi miei peccati

Di far morire il Redentor dell’alme,

Neghittosa starò?

Non no, se per me ei patì tanto,

Forz’è, che mi distempri in pioggie(sic), in pianto.

Gius e Nic: Signora addolorata.

Gius: Umile a’ cenni tuoi.

Nic: Riverente al tuo piede.

Gius: Ecco un servo fedele, ecco Giuseppe.

Nic: Ecco, perpetuo schiavo, un Nicodemo.

Gius: E’ ben vero Signora,

Che funesta caggione(sic) oggi prescriva

Affetti di dolore al mio dovere,

Io non di meno t’accerto

Che saran sempre vive nel mio Core

Del morto mio Gesù l’opere, e l’amore.

Nic: Ed io pur t’assicuro

Che se per amor mio su questo tronco

L’amato figlio tuo lasciò la vita

Impiegata vedrai

Per Gesù, per Maria

Tutto me stesso, il cor, la vita mia.

Per lo che jo ti scongiuro

Che dassi triegua al duol Madre dolente,

E che ci concedessi

All’estinto tuo figlio,

Al dolce mio Gesù l’esangue corpo

Per dargli sepoltura;

che non è ben, che qui sospeso resti

Per accrescerti doglia, e più tormento

Oggetto di ludibrio al freddo vento.

Ma.Verg: Dall’opre di pietà, che meco usate

Facci l’eterno Padre

Con sua libera man giusto compenso;

E giaché(sic) voi bramate

Seppellire il mio bene, io nel concedo:

Ma che dissi? / Ahi meschina! /

Figlio, figlio Gesù, tu che rispondi?

Ahi no, che il figlio amato, ancor ch’è morto

Della mia crudeltà par, che si lagni,

E’ dica fra se stesso in mute note.

Se l’Ebreo contumare

Morte mi die’ per sodisfar(sic) mio Padre,

Mi condanna alla tomba, oggi mia Madre.

Giov: Sconsolata Signora

Cruda necessità di tor da vista

All’ebraico furore il corpo santo

Del nostro bon Gesù, più non permette

Che passi il tempo a soddisfar le doglie

Tenerezza d’affetti:

Onde convien, Signora,

ch’al voler di la su scontento affatto

Il voler nostro resti

con permetter che siano

le lacerate membra di Gesù

Del mio dolce Signor, del mio Maestro,

In convenevol Tomba oggi sepolte;

Poiché per non goder coj delinquenti

Insepolto restando / ugual la sorte,

Stimasi assai decente;

Che goda almen sepolcro, un innocente.

Gius: Si, si fa’ che non resti

Insepolto per te, quel sommo bene

Che nel mirarlo estinto

Agonizar mi fa, tra un mar di Pene.

Sì, sì fa’ che si smorzi

L’ebraica ferita, ch’anche rimbomba

Che giust’è ben che dia

Al Nazaren Gesù, pace la tomba

Mad: Sì, miei diletti, si. L’opra è ben degna

Del nostro amor; Più dunque non s’iduggi,

Ch’io per quanto verrammi

Dalle forze permesso,

V’aiuterò nel ministero stesso.

Cheof: Maddalena, il Maestro

Lo svenato Gesù il nostro bene’

Fra breve si darà

Tutto lasso, e dismesso

Nelle braccia alla madre:

E benchè la dolente

Figurar non potrà, se sia suo Figlio

Confortar la dobbiamo entrambi intanto

Pel di Dio, col nostro pianto.

Sì, sì. Io sarò quella,

Che formerà dagli occhi

Senza punto cessar di lacrimare

Del pianto mio un(sic) spazioso Mare.

Gius: Qui s’appoggi una scala.

Nic: L’altra quivi si adatti; e tu Giovanni

Con questa terza a’ santi piedi attendi.

Mis: Ah ribalti felloni!

Dunque si tosto

Posto il vostro Natal tutto in non cale,

Distaccar da quel legno oggi intendete.

Un mostro dell’abisso,

Un mago ippocriton, già crocifisso?

Eh via: cambiate omai

Voluntade, e pensier che non conviene

La propria nobiltà, che ci ostentate

In azion si vil tanto obiettare,

E sovvengavi ancora,

Che se voi pertinaci

Contro il diritto, e dover tanto farete

Non converrà al mio braccio

Ritardar le vendette

Anzi farò, che cada ogn’un di voi

Per conservar le leggi al primo onore

Vittima esaminata al mio furore.

Gius: Misandro a dirti il ver, legge che vieta

Adoprar la pietà sempr’è tiranna.

Ad ogni modo senti

Finiamola omai. Tu sol pretendi

Che resti in croce appeso il buon Gesù;

Ed jo a tuo dispetto appunto, appunto

Col fido Nicodem lo schioderò:

E s’io m’incanti / il che non è giamai /

In opre di viltà, come l’intendi

Lascia che ‘l mondo tutto

Dichi contro di me, quanto gl’aggrada

Che per immortalare il nome mio

Basta, che l’opre mie l’approvi Iddio.

Nico: Se poi con tuoi schiamazzi

Mostro d’umanità, tigre umanata

Procuri intimorirci; assai t’inganni

Poiché solo soggiace al tuo furore

Pusillanime il volgo, e non comprende

Un magnanimo cor, timore alcuno

Il Nazaren Gesù si schioderà

Da quel legno , ove pende.

E col caro Giuseppe

Seppellorollo omai a tuo mal grado.

In se puoi contradirci,

Adopra il tuo furor, maneggia l’ire,

Alfin vindice un telo

Basta che scocchi, a sterminarti, il Cielo.

Mis: Ah perversi, ed indegni.

Inimici del ciel, Rubelli a Iddio!

E non forma la terra

Più voragini a un tempo ad ingoiarvi?

E’ dal centro del fuoco ancor si bada

/ Eh Dio delle vendette! /

A vibrar sovra questi a cielo aperto

Fuoco, fulmini e guai senza ritengo

Ire, severità, tuoni di sdegno?

Ma che se voi protervi

Profanatori delle leggi eterne

Tollera paziente Iddio, ch’è giusto,

Io vi prometto e giuro,

Che svenando la vostra enormità

L ‘ardir del braccio mio; L’antico culto

Del mosaico rito,

Che senz’alcun riguardo in voi ne langue

Fine novel stabilirò sul sangue.

Ne giovar potrà mai al vostro intento

Di seppellir quel seduttore infame

L’irregolar permesso di Pilato,

Poiché Misandro

Contro voi, contro Lui, cinto di zelo,

L’istanza porterà sin sopra il Cielo.

Gius. e Nic: Serviti come vuoi, io nulla curo.

Mis: Sì: dunque pertinaci

Ministri d’jgnominia

Schiodate da cotesto infame legno

Quel corpo vile ch’abborre un mondo intiero.

Sì: seppellite voi

Quell’immondo rifiuto della Plebbe

Quel fellon seduttore, quel ladro indegno

Che morto ancor di mille morti è degno;

(Ai soldati)

Ma nell’istesso passo e ferro, e fuoco

Vi conviene adoprar fidi Guerrieri.

Fiatansi omai le trombe,

S’accinga ogn’un a custodir quell’antro,

Ove sepolcro avrà quel furbo audace,

Poiché vedremo alfin, se può Misandro

Nel tenor de suoi sdegni

Le macchine atterrar di questi indegni

Giuseppe, Nicodem, perfidi parto,

E v’assicuro ancora,

Che la vostra arroganza

Castigata sarà senza uguaglianza:

Giurami di voi stessi

Sterminator tremendo;

E sinché durerà nel petto mio,

Unico in culla d’ardir l’offeso core

Vendette adoprirò, Ire e furore.

(Parte)

Gius: Barbaro, disleal, Petto abbronzito…

Nic: Cor del, fiero Tiranno, empio perverso…

Gius: Vanne, t’ingoierà l’inferno istesso.

Indi non più convien, che scorra il tempo

Senza condur l’impresa nostra al Segno;

Eccomi accinto a sodisfar l’impegno.

(Giuseppe, Nicodemo e Gio: salgono le scale)

Giov: Santi piedi che liberi nasceste

Per calpestar soglio di stelle adorno

Chi or con ferrato impaccio

Catenati vi tiene a un legno appesi?

Snodatevi, legami assai più degni

Vi ha preparato il nostro santo affetto,

Avvi croce ogni petto

In cui per affissarvi più tenaci

Saran chiodi i sospir, martelli j baci.

(Schioda i S. piedi)

M.Verg: Ingratissimo Ebreo,

Qual di male in tuo danno

Il dolce Figlio mio oprò già mai?

In che lo conoscesti,

(Smemorato, che sei,)

Ladro, furbo, fellon, perfido, indegno?

Dimmi, dimmi spietato

E quando a tuo favore

Non stese egli la man a consolarti?

E quando mai

Cessò teco d’usar la sua pietade?

E tu senza ragione

Il dator d’ogni bene ladro ne chiami,

Furba la Purità, fellone un santo,

Perfido un giusto, indegno stimi un Dio.

Ahi! Che tanto martorio

Soffrir non posso più. Io me ne… muo…io.

(Sviene)

Che e Mad (tutti ad un tratto): Ohimé, caro Giovanni.

Gius: Soccorrasi da voi la Madre afflitta.

Giov: Mondo sei sodisfatto?

Sei sazio peccatore?

Contenta è la tua brama iniqua, e ria

Giaché è morto Gesù, muore Maria.

Gius: Giaché pur, Nicodemo,

Resta la fascia ben da noi adattata

Uop’è dunque si dia

Al grand’ufficio, e pio

Principio col schiodar il nostro Dio.

Deh, piangi empio mio cuore.

Nic: Deh, sospira alma mia,

A due: Mentre che di te stesso il Redentore

Estinto il vedi già sol per tuo amore.

Gius: Strale tiranno, e crudo…

(Batte)

Nic: Chiodo senza vergogna…

(Batte)

Gius: Su, dammi del mio Dio la man benigna…

Nic: Cedi al mio voler, cedi spietato…

Gius: Ch’è giusto ben, che adopri…

A due: Dandomi il mio Gesù caro e diletto

E ogni tua tirannia contro il mio petto.

Nic: Già distaccarsi al fin L’acuto acciaio.

(Schioda la destra)

E questo pertinace anche resiste.

Ma fa che vuoi, le punte tue severe

Trofeo ne resteran del mio potere.

Gius: Mondo! questa è la destra

Che l’essere ti die’, mira insenzato(sic)

Come resa L’ha già il tuo peccato.

Nic: Cambiò penzier alfin, cedette il ferro;

(Schioda la sinistra)

E tu scemo mortale

Desister non ti vuoi di tanti eccessi!

Mira! Questa sinistra

Ch’ai trafitto col tuo tanto fallire,

La sentenza darà del tuo morire.

Gius: Su via si deponghi dal legno

A due: E voi fedeli intanto

Date del vostro duol, segno col Pianto.

Giov: Rallenta Nicodemo.

Nic: Sostenete Giovanni.

(Lo scendono in braccio alla Vergine)

Gio: Signora ecco che torna al vostro Seno

Il da Voi tanto sospirato Figlio.

Ma.V: Figlio, mio caro figlio

De le viscere mie parte migliore

Così ritorni della tua madre a vista?

Oh! Dio dov’è quel bello

Con cui forzavi a riverenza un mondo?

Fulgentissimi Crini, ov’è quel biondo,

Al di cui paragone

Di men preggio(sic) convinto

L’oro del mago impallidir si vidde(sic),

Chi v’ha ridotti in orrido miscuglio

Di sangue, e sputi, onde al divin sembiante

Più che di freggio(sic) voi d’orror servite!

Oh! Dio se più la duro al rio cordoglio

Avrò in sen tempestoso alma di scoglio.

Gius: Non più, signora, ad affrettar l’esequie

L’equipaggio dovuto ecco ch’è pronto.

Già di nere gramaglie

Coverto è il mondo, et ha l’empiro accese

Le funebri lumiere

Or che si bada, amici,

Che non terminiamo gli nostri ufficj.

Ma.V: Sì sì, Gioseffo io già son pronta; e voi

Che mi foste in Giovanni

Tutti del mio Gesù dati per figli

Deh, non vogliate in cossì(sic) dura impresa

Abbandonarmi sola: su, venite

Tutti, o diletti, e se il fratello estinto

Con versar dalle vene a rivi il Sangue

Dell’insassito Core

Non ha sinora la durezza inframe

Lo facci almen di vostra madre il pianto.

Risurrezione barocca

(Libera riscrittura del Cristo Resuscitato del settecentesco fratel Benedetto La Ganà da Militello)

Salvatore Paolo Garufi

Personaggi

Caifa , Anna, Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo, Misandro, Centurione, Soldati.

SCENA I

Strada del Calvario. Personaggi: Caifa, Anna, soldati.

Caifa:

Sopporteremo ancora

le parole superbe che ci scaglia

il vecchio Nicodemo?

Gli impropèri, gli insulti,

il rinfacciarci l’atto

della condanna data all’impostore

di Nazaret?… Faremo finta forse

che nulla sia per noi il disprezzo atroce

che ci ributta addosso?…

Il suo cacciarci via da questi posti

e dalla sepoltura di Gesù?

Anna:

Io ben più gravemente fui insultato!

Poiché Giuseppe arimateo e gente

facinorosa grida al mio indirizzo

e minaccia di morte!…

Non è più tempo, Caifa, di soffrire!

Caifa:

Che vendetta consigli?

Anna:

Abbiano i due l’identico supplizio

che già fu dato al Cristo!…

Questo, a perenne esempio

di chi pensa possibile

che s’insultino i sacerdoti

senza pagarne il danno!

Caifa:

Oggi è Pasqua, per loro immeritata

fortuna!… In questo giorno sacro a noi

è impedita ogni condanna a morte!

Anna:

Rimandiamo il castigo…

Ma, nel frattempo, chiusi

in carcere lasciamoli a pentirsi!

Caifa:

Mi piace il tuo progetto.

Anna:

E voglio porre, inoltre,

un milite a custodia

della tomba e del corpo putrefatto

del profeta di Nazaret.

Caifa:

La parola ai soldati,

dunque!… Prendano

i ribelli, per rinserrarli in carcere!

Anna:

Zitto!… Viene qualcuno.

E’ meglio non fidarsi!

SCENA II

Personaggi:

Detti, più Giuseppe e Nicodemo.

Giuseppe:

Mi muove, Nicodemo,

un giusto sdegno contro

Caifa ed Anna!… Essi furono colpevoli

della morte del Cristo Salvatore

e diedero ignominia

all’abito solenne

che come sacerdoti ancora indossano.

Nicodemo:

Spero che la vendetta…

Caifa:

Arresta il passo, Nicodemo!… Su,

prendeteli, militi

di Roma! Circondate i due ribelli!

Anna:

Legateli!… E togliete loro spade

e la proterva volontà d’insulto!

(Giuseppe lascia andare la spada).

Giuseppe:

Eccomi inerme!… Che pretendi, barbaro

e indegno sacerdote da noi due?

Anna:

Fra poco lo saprai.

(Nicodemo si toglie la spada e va verso i soldati per essere legato).

Nicodemo:

Getto pur io la spada,

ma che si vuole da noi due ora diteci.

Caifa:

Alle giuste catene

porgete i vostri polsi di ribelli!

Giuseppe:

Seconderò le voglie sanguinarie!… Prendimi!

I lacci dove sono? Ecco le mani!

Nicodemo:

Non opporrò difesa

alla sete tua del mio sangue… Uccidimi!

Eccoti il cuore, pronto alle ferite!

Caifa:

Sarebbe poca pena

un subito morire!… Voglio, quindi,

darti molta agonia.

Nel dolore che strazia lungamente

avvertirai l’orrore

intero della tua perfìdia ed io

mi sentirò appagato

Anna:

Fidi guerrieri, questo (indica Giuseppe)

è più di ogni altro delinquente e reo!

Che gli si dia martirio!

Ciascuno lo tormenti doppiamente!

Giuseppe:

Segui pure, tiranno,

l’istinto ed il furore

e saziati con la tua stessa mano!

Già conosco l’invidia che ti prese

e che ti fece

crocifiggere il Cristo!

Anna:

Eppur m’insulta ancora!… (Ai soldati)

Nella buia prigione

sia legato e sepolto vivo!… Lì

la morte gli sarà

l’ultima amica.

Giuseppe:

A me la tua minaccia

non suscita terrore,

perché dal tuo furor saprà salvarmi

la divina giustizia

che dalle onde Mosè tolse sicuro

e dalle carceri Daniele tolse.

E per tua pena atroce

mi presagisce il cuore

che, risorto Gesù al terzo giorno,

pur io al patrio mio suol farò ritorno.

(Parte legato).

Anna:

Vattene, miserabile!

Adesso in breve chiuderai i giorni

alle catene avvinto,

ritornerai al regno di un empio estinto!

Nicodemo:

Qual barbarie è mai questa? Ove mi trovo?

Son fra sacri ministri,

o fra le belve umane?

Da te, Caifa, e da te,

Anna, che il sacerdozio rendi indegno,

odio proviene,

odio che sopravanza

le stesse fiere!

Caifa:

Superbo, ancor non taci?

Nicodemo:

Tacer non mi compete.

Io sono Nicodemo,

ministro eletto dalla sinagoga,

principe, consigliere,

e fra i dottori il dittatore, il saggio

di tutto il sinedrio… Come stringete

fra servili catene

queste mie mani? E’ troppo indegna pena,

indegna del mio grado!

E perché, poi?… Perché difendo un Dio!

Caifa:

Questo, perfido, questo

è il tuo sbaglio maggiore!

Chiamare ancora Dio

quel vile galileo

che morì per i suoi delitti, reo

fra due altri rei!

Anna:

Non voglio più discutere!

Contro costui che attenta

alle leggi d’Israele

tu, Caifa, emetti la condanna, dai

severo esempio

col decreto fatale!

Caifa (si volge a Nicodemo):

Come infedele

al popolo, sarai

privato dell’insegna

solenne di dottore,

che ti distingue dal comune volgo!

Che tu vada ramingo

fra le genti straniere,

senza titoli, onori, senza gradi

di principe, di consigliere, senza

le tue ricchezze,

la dignità, gli affetti ed i fedeli,

di te molto più degni,

anche se ne sei stato il sacerdote.

Vattene via, infelice!

Povero, mendicante, ove ti guida

la tua misera morte!

(Dà un calcio a Nicodemo e va via con gli altri).

Anna (andando via):

Va’ pur, che in breve incontrerai la morte!

Nicodemo:

Se la vita e il mio sangue

col grado e le ricchezze or mi togliete,

mi resterà compagno il buon Gesù!

(Esce di scena).

SCENA III

Monte Calvario col Sepolcro in prospetto.

Personaggi:

Misandro col sigillo della sinagoga, soldati coi ferri per chiudere.

Misandro:

Apritemi la tomba!

Prima che possa apporvi i miei sigilli

voglio veder la salma disprezzata

dell’estinto Gesù.

(I soldati aprono il Sepolcro per vedere il corpo di Cristo).

Misandro:

Eccolo, il mio rivale

nel proprio sangue intriso,

tutto pien di ferite, morto… e godo

nel vederlo così!

(I soldati chiudono il sepolcro).

Misandro:

Perforate quel sasso,

quell’immondo sepolcro!

Fissate a fondo coi martelli

i gangi. Poi, vedremo

se sorgerà davvero al terzo giorno!

SCENA IV

Personaggi:

detti, più centurione col suggello imperiale e soldati.

Centurione:

Grazie al Cielo, soldati,

siamo giunti a quel luogo

dove umili dovremo in questa notte

fare omaggio a Gesù. Voi già sapete

per la nostra salvezza

quante pene soffrì. Ponzio c’impone

la guardia al suo sepolcro.

Gloria maggiore

per le nostre fatiche

noi non potremmo averne,

per cui convien stare attenti, al suolo

chini, in preghiera.

Nella veglia si faccia guardia ai resti

preziosi di Gesù,

pronti… (si volge) Parmi

che intorno altri vi sia!… Soldati, all’armi!

Oh, Dio! Che vedo! E’ quello

l’inumano Misandro!…

(A Misandro)

Cosa tenti, crudele?

Non t’è bastato

per saziare in pieno il tuo livore

l’aver svenato in croce il Redentore?

Misandro:

Io non voglio contese, centurione1

Io venni per ferrare

questa fetida tomba

e per cercarvi

l’infame corpo.

Temo, a ragione,

la notturna rapina del suo corpo,

per dire poi che è già risorto al mondo

un cadavere immondo!

Centurione:

L’hai fatto già.

Misandro:

Ascolta!… I miei sospetti

tu potrai dileguare…

So che possiedi

il suggello imperiale:

usalo per marcare l’infame avello!

Centurione:

Non per l’ordine tuo

adempio al mio dovere,

ma per la legge

del romano Pilato.

(Il centurione suggella il sepolcro).

Centurione:

Odi, Misandro ingrato:

nei secoli futuri

quell’odiato da te Sacro Sepolcro

glorioso sarà. Tutta la terra

qui giungerà sovente a stuolo

ad adorar la polvere del suolo.

Misandro:

Forse tu credi a ciò che Cristo disse.

Come può da una tomba

risorgere la vita al terzo giorno?

Centurione:

Certo il cielo e la terra passeranno,

ma non verranno meno

i presagi che diede il Nazareno!

Misandro:

Con accenti di rabbia e di furore

sento che dentro mi si avvampa il cuore!

Chiudete i ferri!

Io pur l’impronta

metterò del Sinedrio!

Su questa ben serrata tomba facciano

guardia con l’armi in mano

i militi di Roma.

Nell’orror della notte

vedremo se torna in vita un vile estinto!

Centurione:

Anch’io desidero vegliar con te

coi miei guerrieri accanto

al luttuoso silenzio

di questa tomba…

Ma, a ciò mi spinge una speranza dolce:

veder tornare in vita

chi è figlio di Dio!…

(Si scuote)

Ma, un sonno irresistibile

mi intorpidisce gli occhi…

Oh, Dio!… Vorrei

stare sveglio… Ma, gli occhi…

gli occhi mi si chiudono…

(Si addormenta coi suoi soldati).

Misandro:

Anch’io mi sento stanco!

Per la veglia notturna più non posso

reggermi in piedi…

Voglio… Ma, ai miei occhi

si stende un fosco velo… e giunge intanto

nelle mie vene

un languore soave.

(Si addormenta).

SCENA V

Risorge Cristo.

Personaggi:

Cristo e detti, che dormono.

Cristo:

Ecco, o mortali, il fortunato giorno

che a vantaggio di tutti

elesse il vostro Dio. L’uomo è redento!

Restò sconfitto Satana,

c’è gioia in cielo, torno al Padre mio!

E’ vinta la morte,

a chi crede aprirò le eterne porte.

Sarà la vera gioia,

nel giorno estremo

le anime fortunate

per me risorgeranno lietamente!

(Ascende verso l’alto).

Centurione (scuotendosi dal sonno coi suoi soldati):

Quale insolita luce

mi fa tornare sveglio?

Misandro (scuotendosi dal sonno):

Che gravi accenti

nel mio sonno ascoltai!…

Ah, per mio eterno duolo

vincesti, Nazareno!

(Fugge spaventato).

Centurione:

Fuggo pur io, ma solo

per dir la buona nuova!

(Guardando Cristo, fugge coi suoi soldati).

Fine

Finito di stampare

nel febbraio 2016

da

Il Garufi Edizioni

Via Badalà, 58° – Fiumufreddo di Sicilia

E-mail: ilgarufi@libero.it

Mobile: 393.4808985