Rocambole Garufi, Siamo già nel Regno del Grande Fratello? – dal libro “George Orwell (1903 – 1950) e l’individuo infelice del Paleolitico contemporaneo”

XVII

Siamo già nel Regno del Grande Fratello?

di Rocambole Garufi

‘Few novels written in this generation have obtained a popularity as great as that of George Orwell’s 1984. Few, if any, have made a similar impact on politics. The title of Orwell’s book is a political by-word. The terms coined by him – “Newspeak”, “Oldspeak”, “Mutability of the Past”, “Big Brother”, “Ministry of Truth”, “Thought Police, “Crimethink”, “Doublethink”, “Hateweek”, etc. – have entered the political vocabulary; they occur in most newspaper articles and speeches denouncing Russia and communism. Television and the cinema have familiarized many millions of viewers on both siedes of the Atlantic with the menacing face of Big Brother and the nightmare of supposedly communist Oceania. The novel has served as a sort of an ideological superweapon in the cold war. As in no other book or document, the convulsive fear of communism, which has swept the West since the end of the Second World War, has been reflected and focused in 1984″1.

Le parole di Isaac Deutscher dimostrano che, quando uscì, il libro di Orwell colse elementi precisi della realtà del suo tempo, tendenze preoccupanti che, se si fossero sviluppate, avrebbero portato velocemente l’umanità verso la più chiusa delle dittature e verso la morte spirituale. Adesso che nel 1984 ci abbiamo vissuto viene spontaneo domandarsi fino a che punto le previsioni di Orwell hanno trovato riscontro nella realtà.

Fortunatamente, almeno in Occidente, nessun Grande Fratello ci osserva con faccia paterna e minacciosa dai cartelloni affissi lungo le strade e la psico-polizia e lo psico-crimine (almeno ufficialmente) sono ancora considerati un obbrobrio.

Ma in certe intuizioni particolari, però, sembrerebbe proprio che Orwell abbia colto nel segno. A proposito della New-speak, per esempio, come non dar ragione a Tullio De Mauro quando scrive:

“Sì, la “Neolingua” è tra noi. Orwell (letto bene) aveva ragione. Guardate alla recente, ormai inarrestabile fortuna di un aggettivo come “disomogeneo”: sta scacciando “eterogeneo” e sta perfino attentando alla vita di “diverso”. Guardate a “‘maggiormente” che ormai ha quasi annientato “più” e “di più”. Si potrebbe continuare da tutte le parti siamo assediati dalla tendenza a sostituire giri di parole con aria pseudo-tenica a modi più diretti e lineari d’espressione” 2.

Fortunatamente, a quanto pare, non è la prima volta che il mondo conosce il fenomeno della neo-lingua. Essa, infatti, più che con la stabilità di morte della dittatura, sembra coincidere con l’incertezza delle epoche di crisi.

Per questo De Mauro può affermare:

“Ma ciò è avvenuto altre volte nel lungo corso della storia: il sanscrito grammaticale, il greco d’età bizantina, la prosa cortese ed epistolare italiana ed europea del Cinque e Seicento hanno conosciuto possenti ondate neolinguistiche. Ma siamo poi riusciti a sopravvivere” 3.

Un’altra grande intuizione di Orwell è stata forse la diffusione di massa della pornografia, per la quale mi sembra giusta la definizione che ne ha dato l’Augias:

“Al contrario dell’erotismo, la pornografia è sempre uguale a se stessa. Il suo scopo è di escogitare alcune possibili varianti prima dell’immutabile conclusione. Ridotto il meccanismo alla pura fisicità, non c’è granchè da dire, nè da vedere”4.

Ebbene, in questo senso si può dire che l’intuizione di Orwell è stata quanto mai giusta. Nella realtà odierna la pornografia è davvero diventata un fenomeno di massa ed ha inciso fortemente sui nostri costumi.

Il processo di mercificazione dell’amore, fra l’altro, ha avuto maggiore diffusione fra le classi più povere e fra gli emarginati e ne ha stravolto il sistema dei valori.

Il sotto-proletariato urbano, così, ridottosi ai margini della società dei consumi, sottoposto a tutti gli stimoli della pubblicità, ma non in condizione di soddisfare uno solo dei suoi desideri, trova un’evasione a buon mercato nei cinema a luci rosse.

La pornografia, quindi, è uno dei tanti sfoghi per l’insoddisfazione di una umanità continuamente bombardata dai mass-media che impongono di fatto un modello di felicità basata sull’avere anzicchè sull’essere: la fisicità, lo squallore, l’artificialità degli strumenti per arrivare ad una illusione di felicità, oltre che dalla pornografia, è rappresentata, questa volta a un livello ben drammatico, dalla droga (non a caso anch’essa oggi ha molta presa fra le classi più emarginate).

Pornografia e droga, per questo, sono il sintomo della incapacità della gente a sostituire i valori tradizionali che il progredire della tecnica ha distrutto.

Si è persa la concezione qualitativa del vivere, quella che faceva molto uso delle parole “moralità” o “rispetto degli altri”. Allora la mancanza di ricchezza poteva, in qualche modo, essere resa più accettabile da questo tipo di “sovrastruttura” (come la chiamerebbe Marx).

Oggi, il povero è caduto in una emarginazione doppia: alle disgrazie di sempre, si è aggiunta la polverizzazione di valori ai quali credeva.

La coscienza di una vita retta ed onesta oggi non consola proprio nessuno. Ecco, quindi, che l’insoddisfazione si è fatta più cruda e il bisogno d’evasione più impellente e brutale.

Sia per il regime di Oceania, sia per la nostra società consumistica la pornografia rappresenta la valvola di scarico dei rancori degli emarginati.

Infine, ciò che di 1984 mi pare di estrema attualità è che la tecnologica finisce per diventare un formidabile strumento di dominio, anzi uno strumento apparentemente invincibile.

Ma, a questo proposito, credo che le idee non possano essere ancora molto chiare. Nonostante il tanto parlare che si fa di società “post-industriale”, penso che i contorni di quello che sarà il volto del mondo sotto il dominio dell’alta tecnologia siano ancora molto sfumati e confusi. Il trapasso non è ancora del tutto avvenuto. Speriamo bene.

A suggello di questa speranza, non mi resta che citare questo brano di Conor Cruise O’Brien:

“We are near enough now to 1984 to see that the world then, whatever it may be like, will not be very like Orwell’s imagining of it” 5.

1 Isaac Deutscher, “1984 – The Mysticism of Cruelty”, in George Orwell: “A collection of critical essays”, op. cit., pag. 119. Trad.: “Pochi racconti scritti in questa generazione hanno ottenuto una popolarità così grande come quella di 1984 di George Orwell. Pochi, seppure qualcuno lo ha avuto, hanno avuto un’impatto simile sulla politica. Il titolo del libro di Orwell è già politico nella parola. I termini da lui coniati – “neolingua”, “archeolingua”, “trasformabilità del passato”, “‘Grande Fratello”, “Ministero della Verità”, “psicopolizia”, “psicocrimine” “bi spensiero”,”settimana dell’odio”, ecc. – sono entrati nel vocabolario politico; essi ricorrono in diversi articoli di giornali e in diversi discorsi che denunciano la Russia e il comunismo. La televisione e il cinema hanno reso familiari a molti milioni di spettatori su entrambe rive dell’Atlantico la faccia minacciosa del Grande Fratel lo e l’incubo di una immaginaria Oceania comunista. Il racconto è servito come una specie di super-arma ideologi ca durante la guerra fredda. Come in nessun altro libro o documento la paura convulsa del comunismo, che ha percorso l’ovest fin dalla II Guerra Mondiale, è stata riflessa e focalizzata in 1984″.

2 Tullio De Mauro, “Quando una parola uccide l’altra” in ” Il futuro è già cominciato”, in Panorama, anno XXII, n.925, del 9/1/1984, pag. 97.

3 Ibidem.  

4 Corrado Augias, “Quei bagliori a luci rosse”, in “Il futuro è già cominciato”, in Panorama, cit., pag.89.

5 Conor Cruise O’Brien, “Orwell looks at the world”, in George Orwell: “a collection of critical essays”, op.cit., pag.160. Trad.: “Noi siamo abbastanza vicini al 1984 per vedere che il mondo poi, in qualsiasi modo possa essere, non assomiglierà quello che Orwell aveva immaginato”.

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