Rocambole Garufi, Nell’Universo dei pirati, racconto – da “Dove si annida la notte della finanza”

Rocambole Garufi

Nell’universo dei pirati

Racconto

Tutto cominciò con il linciaggio del giovane don Filippo Scirè, il figlio del capitano della guarnigione del castello. Poi, come risposta, si ebbe la prima prova impegnativa della setta segreta Il Cenacolo, che si ispirava al modello di guadagno che Rodrigo aveva imparato dal capitano portoghese Antonio Faria de Sousa, quando questi governava il porto dell’isola di Hai-nan (Taiwan?), in Cina.

Troviamo la testimonianza dei sopra ricordati fatti, accaduti in lontane terre d’Oriente, nell’opera dello scrittore portoghese Fernao Mendes Pinto, coetaneo e amico di Rodrigo Borina, e, come lui, pirata giramondo, secondo la legge spietata dei “tempi nuovi” che in arte avrebbero portato al cattivo gusto barocco e nella morale alla perdita degli orgogli nobiliari e delle virtù cavalleresche.

Persino gli abitanti di Hai-nan, che certo non erano delle tenere novizie, infatti, restarono terrorizzati dalla facilità con cui Antonio Faria de Sousa, i portoghesi in generale e, soprattutto, Rodrigo Borina scannarono chiunque si metteva sulla loro strada.

Per questo i cinesi si adunarono in consiglio – o, come loro dicevano, riunirono il Bichara – ed elessero due ambasciatori, che, vestiti dei loro abiti migliori, si presentarono a Faria.

“Sei il Re del mare” gli dissero gli ambasciatori. “Vogliamo che tu prenda sotto la tua protezione anche le nostre giunche.”

“Io proteggo soltanto chi mi paga e chi combatte i maomettani” rispose Faria.

“A noi importa viaggiare tranquilli e null’altro…” dissero gli ambastiatori. “Ti pagheremo!… E se per la nostra sicurezza ci chiedi pure di uccidere tutti i maomettani… per noi va bene!”

In cambio della protezione, il capitano impose un tributo di ventimila taels d’argento e, per essere sicuro che non ci sarebbero stati scherzi, trattenne in ostaggio uno dei due ambasciatori.

Con questo sistema i portoghesi stabilirono il loro dominio sui paurosi cinesi e si arricchirono come i più potenti Regni d’Europa.

Grazie ai suoi modi sbrigativi, così, Faria ottenne il denaro in meno di un’ora, con l’aggiunta del regalo di molti ricchi drappi della Cinacioè, di sete -, mandatigli dai capitani delle giunche locali, chiamati necodà.

Il capitano, poi, chiamò un suo primo uomo di fiducia, un certo Costa, e lo nominò scrivano dei salvacondotti da consegnarsi ai necodà, con una tassa di cinque taels per le giunche e di due per le imbarcazioni più piccole, dette lantee.

Un’organizzazione perfetta, insomma, ma che funzionò grazie all’abilità di Rodrigo, l’altro uomo di fiducia del capitano.

A lui Faria affidò il comando di una rete segreta di informatori – esaltati, ruffiani, papponi e infami -, da distribuire dappertutto. Si trattava di scovare chi mal sopportava il dominio portoghese e dopo si faceva in modo che costui cambiasse idea… o scomparisse. La rete, inoltre, garantiva informazioni continuamente aggiornate su ogni movimento e ogni intenzione di tutti i cinesi.

Nei salvacondotti preparati da Costa, perciò, poteva leggersi:

Prendo sotto la mia protezione il necodà… (e qui seguiva il nome), perché egli possa navigare liberamente in tutte le coste della Cina, senza essere molestato da alcuno dei miei, purché ovunque veda dei portoghesi, li tratti come fratelli.

La nascita di questa Fratellanza portoghese permise al capitano Antonio Faria de Sousa di quadagnare in soli tredici giorni più di quattromila taels d’argento e a Rodrigo e Costa di vendere a zero spese d’acquisto una gran quantità di sete in cambio di uno sveltimento delle pratiche.

Il capolavoro di Rodrigo, infine, ci fu quando convinse il capitano Faria de Sousa, ormai diventato l’uomo più temuto della costa, a stringere una segreta alleanza col vicerè di Hai-nan, detto Cha-em nella lingua cinese.

“Sarà un’alleanza fra pari, capitano” disse Rodrigo a Faria, “anche se il Cha-em avrebbe gradito, detta così… che entrassimo alle dirette dipendenze dell’imperatore, il Figlio del Sole.”

“E non era meglio?” chiese Faria.

“Quando ci si vuol sbarazzare di un dipendente basta un ordine di arresto… Se ti fa ombra un alleato, invece, detta così… almeno sei costretto a valutare il fatto se ti conviene o no muovergli aperta guerra!”

“Giusto!” confermò Faria “Eppoi un alleato ha sempre più libertà di un dipendente.”

Questo inarrestabile crescere del prestigio dei portoghesi, comunque, cominciò già al momento del loro arrivo nel piccolo porto di Madel, il giorno della Natività della Madonna, cioè l’8 settembre.

“Ho l’impressione che la data di oggi significherà sempre qualcosa nella mia vita” pensò Rodrigo mentre calavano l’àncora, nemmeno lui sapeva perché.

Faria e i suoi compagni, invece, volevano semplicemente rifuggiarsi in quel posto nell’approssimarsi del plenilunio, quando in Cina imperversano i tifoni.

Già da quattro giorni, infatti, il Cielo, più che un cielo, sembrava una fronte corruscata, indice di uno stato d’animo pronto a lanciare saette e fulmini.

Allora piacque al Signore che tra le tante navi che venivano ad ammainare le vele e gettare l’ancora arrivasse, proprio accanto alla loro, quella del famosissimo pirata Hinimalau.

Costui era un cinese che prima si era fatto cristiano e poi, per compiacere il suo nuovo amico, Coja Acem, implacabile sterminatore di portoghesi, si era convertito all’Islam.

In quel momento, proprio lo stesso Acem stava vicino al delta del fiume su una giunca, mentre i pirati di Hinimalau tiravano giù le vele.

Inizialmente, Faria ed il suo equipaggio non venne subito riconosciuto e ci fu un reciproco saluto, secondo l’uso del luogo… quando all’improvviso spuntarono cinque prigionieri cristiani sulla prua della giunca di Coja Acem, che cominciarono a gridare:

“Signore Iddio, misericordia!”

La risposta di Faria fu immediata.

“Ammainate le vele e fateci salire a bordo!” urlò verso la giunca.

Di rimando, da lì cominciarono a battere beffardamente un tamburo e virarono verso la baia, mostrando minacciosamente le scimitarre.

Subito Rodrigo e un gruppo di compagni armati misero in acqua una barca per andare all’assalto. Ma, furono ricacciati a sassate. Anzi, lo stesso Rodrigo fu ferito piuttosto seriamente nel volto.

Nel frattempo Antonio Faria, che, a sua volta, si preparava ad assaltare la nave di Hinimalau, vedendo il suo uomo tornare grondande di sangue, gridò ai suoi:

“Signori e fratelli miei! Tenetevi pronti perché dobbiamo sapere chi sono quei cani… Io suppongo che si tratti proprio di Coja Acem!”

Fece, quindi, salpare le ancore e. giunto a tiro di bombarda di ambedue le imbarcazioni nemiche, le salutò con una salva di trentasei cannoni, dei quali dodici erano falconetti e cortaldi tutti gli altri, tranne un cannone di bronzo, che tirava palle di metallo.

Gli avversari rimasero così intimoriti che l’unica cosa che seppero fare fu recidere le gomene, per andare a rompere sulla spiaggia e poter scappare.

Ma, Antonio Faria, capito il loro intento, andò subito all’arrembaggio della giunca di Coja Acem.

Fu una battaglia terribile, con scambi di coltellate e palle infuocate, mentre gli archibugi sparavano continuamente. Per mezz’ora nessuna delle due parti sembrò prevalere, poi di colpo i maomettani cedettero e si gettarono in mare, malconci e bruciacchiati.

“Prendo una barca e ne vado a salvare un po’” disse, a quel punto, Rodrigo, nel frattempo ripresosi, al capitano Faria. “Abbiamo perso troppi uomini e bisogna pur rinnovare la ciurma!”

“Salvane uno, soprattutto… e sai chi!” rispose Faria. “Voglio fare due chiacchiere col loro capo.”

Meno di un’ora dopo, così, Coja Acem fu davanti al capitano Antonio Faria de Soussa.

“Ho sete!” disse il maomettano.

“C’è tanta acqua in mare” rispose il capitano. “Se vuoi, te ne faccio portare un po’.”

“Fammi bere e ti giuro sul Corano che ti dirò tutto ciò che vuoi sapere.”

Faria ordinò dell’acqua dolce ed il prigioniero bevve tanto avidamente da versarsene una gran quantità addosso.

“Ho ancora sete!” disse alla fine.

Arrivò ancora dell’acqua e l’uomo tornò a bere.

“Ora parla…” disse infine Faria, “o l’acqua te la faccio uscire tutta dalla pancia… dove sono i tuoi prigionieri?”

“Li troverai tutti nella stiva di prua, sgozzati come animali.”

Faria si segnò cristianamente e disse:

“Benedetto sei tu, Signore Gesù Cristo, per la tua pietà e misericordia nel sopportare un’offesa così grande.”

Poi, dopo un sospiro, chiese:

“Perché tanta crudeltà?”

“Era il giusto castigo per avervi messo in allarme… eppoi, basta essere portoghesi o figli di portoghesi per meritare la morte. Ho provato a diventare cristiano al tempo in cui Paolo de Gama era capitano a Malacca e i portoghesi in cambio mi hanno dato soltanto umiliazioni e disprezzo. Quand’ero pagano, invece, mi parlavano tenendo il cappello in mano. E’ gente che morde la mano che li aiuta. Una volta convertito, per i portoghesi sono diventato uomo di poco conto!”

“E i maomettani ti hanno forse trattato meglio?”

“Forse no, ma mi hanno insegnato ad odiarvi. Ho giurato sul Corano, il Libro dei fiori, che mi sarei guadagnato il paradiso uccidendo più portoghesi che potevo!”

Antonio Faria de Sousa sorrise sarcastico.

“E come sono andati gli affari?” chiese.

“La prima nave che ho catturato fu una giunca di Luigi da Pavia sul fiume Liam-po ed ho ucciso diciotto portoghesi, oltre ai loro schiavi…”

A quel punto Antonio Faria gli si avvicinò.

“Basta così! Sei un uomo!” disse sorridendo.

Ed, estratto il coltello, glielo piantò nel cuore.

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