Rocambole Garufi, “La storia ufficiale è un inganno” – Da “Storia del paleolitico contemporaneo, George Orwell e il Dispotismo del Nulla”

Raquel Welche nel film “Un milione di anni fa”

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La storia ufficiale è un inganno: individuo, società e potere

di Rocambole Garufi

“It was a bright cold day in April, and the clocks were striking thirteen. Winston Smith, his chin nuzzled into his breast in an effort to escape the vile wind, slipped quickly through the glass doors of Victory Mansions, though not quickly enough to prevent a swirl of gritty dust from entering along with him” 1.

Con questo “incipit” dall’andamento lento, pausato, quasi annoiato, incomincia una delle più terrificanti avventure che mente umana abbia mai partorito. Qui, in verità, Orwell rivela tutta la finezza della sua arte. Egli ci porta, infatti, nella società del 1984 senza ricorrere ad alcuna descrizione spettacolare. Mostra e descrive col tono dimesso di chi parla delle cose più normali.

Tale scelta di stile è funzionale al messaggio dell’opera. Non avendo alcuna intenzione di fare profezie e di darsi alla fantascienza, come ho già dimostrato nel paragrafo precedente, il Nostro ha voluto descrivere quello che poteva essere un possibile sviluppo di certi atteggiamenti mentali a lui contemporanei.

L’ambiente di 1984 non è il frutto di radicali ed improvvisi cambiamenti (cosa che poteva giustificare la scelta della spettacolarità), ma il risultato di una lenta evoluzione. Per questo, le persone che vivono nel contesto descritto nel romanzo non possono comportarsi se non secondo le regole della più banale quotidianità. Ad esso, infatti, hanno avuto tutto il tempo di abituarsi. Lo stile, così, ha l’effetto d’ingigantire la dimensione paranoica e pessimista nella quale sono collocati gli avvenimenti. Forse è stato ciò che ha fatto scrivere al Phelps:

“The tone is frequently shrill and histerical, and the characterization notably wooden” 2.

Ma a risposta si possono citare queste parole dell’Howe:

“Lo stile di 1984, che molti lettori ritengono sciatto e poco ispirato e faticoso sarebbe stato apprezzato da un Defoe, perché egli avrebbe capito subito che le esigenze imperiose della materia scelta da Orwell, come nel caso suo, richiedevano una puntigliosa aderenza alla realtà. Lo stile di 1984 è quello di un uomo il cui impegno di rendere integralmente una visione spaventosa entra in conflitto con la nausea che quella visione gli dà. Questa visione è così acuta che delicatezza di fraseggio e abbellimenti retorici finiscono per sembrare qualcosa di futile – egli non ha tempo, egli deve registrare tutto con fedeltà -. Coloro che non lo capiscono hanno ceduto, ne sono convinto, alla dolce tirannia dell’estetismo”3.

Maggiore aderenza alla realtà, quindi, per sottolineare più efficacemente l’incredibile aspetto che essa avrebbe assunto. E in ciò Orwell volle essere coerente fino in fondo. Per questo il protagonista del romanzo si chiama Winston Smith. Con un nome del genere egli sarebbe stato davvero poco credibile come eroe d’un romanzo di fantascienza (come rischiava di essere recepito 1984).

Egli si pone, piuttosto, come simbolo dell’inglese medio. Winston era, infatti, il nome di Churchill, colui che nel 1949 (l’anno in cui il romanzo uscì) pareva incarnare l’anima inglese, con tutto il suo carico di orgoglio e frustrazioni (orgoglio per la recente vittoria sul nazismo; frustrazioni perché dalla guerra, rispetto agli U.S.A. e all’U.R.S.S. che s’erano spartite il mondo, l’Inghilterra ne era uscita piuttosto malconcia). Smith, poi, è il cognome inglese più diffuso.

Winston Smith, lungi dall’essere un eroe, perciò, è l’incarnazione di una condizione umana, un simbolo astratto della “lower-upper middle-class”. In ciò è parente del “pukka-sahib” Flory di Burmese Days, di Gordon Comstock, lo scrittore di slogans pubblicitari di Keep the Aspidistra Flying, di George Bowling, l’assicurazione di Coming up for Air. Tutti e quattro sono vittime, uomini la cui personalità è stata nullificata dal sistema. E inoltre (e in ciò sono uguali a tutti i protagonisti orwelliani e allo stesso Orwell) tutti e quattro, più che la rivoluzione, concepiscono la rivolta isolata, in termini che sempre si rivelano velleitari.

Ma torniamo al romanzo. Il mestiere di Winston Smith è quello del giornalista. Ma, nella società del 1984 quando il Socing (Socialismo Inglese), sotto la guida di un mitico e sempre incombente Grande Fratello, ha ormai consolidato il suo potere in Oceania (il grande raggruppamento di nazioni del quale fa parte l’Inghilterra), il mestiere del giornalista è diventato piuttosto strano. Esso, infatti, non consiste più nel riferire le notizie, ma nel cancellarle; nel far cioè scomparire dalle collezioni di giornali delle biblioteche di stato tutti quegli avvenimenti e tutti quei personaggi che il regime ha deciso di far dimenticare.

Inoltre, Winston deve riempire gli spazi che così restano vuoti inventando di sana pianta fatti nuovi, seguendo le indicazioni delle veline che gli arrivano continuamente.

Così, i giornali, ciò che in futuro sarà la fonte degli storici, vengono sistematicamente riempiti solo di “verità” ufficiali. In tal modo il passato viene totalmente cancellato e continuamente “aggiornato” e la storia, almeno nei termini in cui la intendiamo noi, finisce di esistere.

Gli unici documenti che vengono lasciati ai posteri sono un cumulo di spudorate bugie e, man mano che gli uomini dimenticano, tutti gli eventi scompaiono nel nulla. Nel futuro a tecnologia avanzata di 1984 si ritorna a una nuova preistoria, a un “passare” silenzioso dell’umanità, senza che resti traccia alcuna dei suoi sogni e delle sue sofferenze.

Per questo può succedere che:

“The Party said that Oceania had never been in alliance with Eurasia. He, Winston Smith, knew that Oceania had been in alliance with Eurasia as short a time as four years ago. But where did that knowledge exist? Only in his own consciousness, which in any case must soon be annihilated. And if all others accepted the lie which the Party imposed – if all records told the same tale – then the lie passed into history and became truth. “Who controls the past”, ran the Party slogan, “controls the future: who controls the present controls the past”” 4.

La creatività del Partito, quel suo proiettarsi sul futuro confezionando una storia ufficiale, ha le sue radici nello spirito di distruzione. Anzi, si potrebbe dire che la sua opera consiste solo nel distruggere ogni traccia di vera esistenza; in cambio esso dà solo vuoto, facciate di slogans che non vogliono dir nulla, non-esistenza.

Non si sa nemmeno se esiste realmente il Partito e lo stesso Grande Fratello. Per quel che Orwell ci fa capire, egli potrebbe benissimo essere solo un’immagine, un’icona del potere, senza che dietro vi sia una persona reale. L’ipotesi è terribile davvero: lo svuotamento dell’uomo in cambio di che cosa? Di puro vuoto.

1 George Orwell, Nineteen Eighty-Four, Napoli, Ferraro, 1979, pag.21. Trad. it.: G. Orwell, 1984, traduzione di Gabriele Baldini, Milano, Mondadori, 1973, pag. 25. “Era una fresca limpida giornata d’aprile e gli orologi segnavano l’una. Winston SMith, col mento sprofondato nel bavero del cappotto per non esporlo al rigore del vento, scivolò lesto fra i battenti di vetro dell’ingresso agli Appartamenti de la Vittoria, ma non tanto lesto da impedire che una folata di polvere e sabbia entrasse con lui”.

2 Gilbert Phelps, “The Novel Today”, in The Pelican Guide to English Literature, vol. 7, The Modern Age, Harmondsworth, Penguin, 1973, pag.492. Trad.: “Il tono è spesso stridulo e isterico, e la caratterizzazione notevolmente impacciata”.

3 Irving Home, “Orwell: la storia come un incubo”, in Politica e romanzo, Milano, Lerici, 1962, pag. 250.

4 George Orwell, Nineteen Eighty-Four, op.cit., pag.41. Versione italiana, G.Orwell, 1984, op.cit., pag.57-58.

Trad.: “Il Partito diceva che l’Oceania non era mai stata alleata dell’Eurasia. Lui, Winston, sapeva che l’Oceania era stata alleata dell’Eurasia appena quattro anni prima. Ma dove esisteva quella nozione? Solo nella sua coscienza, la quale, in ogni caso, doveva essere presto annullata. E se tutti gli altri accettavano quella menzogna che il Partito imponeva (se tutti i documenti ripetevano la stessa storiella), la menzogna diventava verità e passava alla storia.

“Chi controlla il passato” diceva lo slogan del Partito “controlla il futuro: chi controlla il presente, controlla il passato”.

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