Garufi, Rocambole S. P. – Gli occhi di Tyrone Power (Racconto) – Le scatole cinesi della mafia, il tradimento, l’amore, l’indagine, la mente nascosta…

1

Quartiere Nesima (Catania). Indagine su una tela vuota

Situazione di partenza: un uomo è sull’orlo della pazzia. Si chiama Lucrezio Caro, come il poeta latino (e, naturalmente, è un nome fittizio, come tutti gli altri).

Il trenta maggio del 1994, verso le nove del mattino, Lucrezio Caro si trovava seduto sul pavimento, al buio, a Catania, in una stanza vuota, se si eccettua il telefono accanto a lui.

Il giorno prima aveva fatto tinteggiare le pareti di bianco.

Improvvisamente, sentì uno squillo. Sobbalzò, ma non allungò la mano ad alzare la cornetta.

Si impose di aspettare un po’…

Infatti, il telefono non mandò più alcun segnale.

Passò qualche minuto e ci fu un nuovo squillo. Uno solo, anche questa volta.

A quel punto egli stava per cedere ai nervi.

Si alzò, andò ad accendere la luce e si chinò sul telefono.

“Bene” vaneggiò con l’apparecchio. “Io sarei pronto a ricominciare, ma tu non sei d’accordo, vero?”

Si piegò ancor di più sul telefono, fin quasi ad accoccolarcisi sopra, e aggiunse:

“E’ chiaro! Chi mi ha fatto la festa non si decide ad andar via dalla mia vita.”

Quindi, scattò in piedi e voltò le spalle a quell’infernale strumento.

“Lei non sa che io, ormai, non ce l’ho più, la vita! Da dovunque chiamasse, chiamava inutilmente… Era la morte che chiamava un morto!”

Subito dopo, però, portò le mani nei capelli e sospirò:

“Oh, mio Dio!… Non posso mica continuare così!”

In qualche modo doveva reagire, magari impegnandosi in mansioni pratiche.

Andò ad aprire la porta e si affacciò sulle scale.

“Gianni, Piero!” chiamò. “Siete pronti?”

“Quasi pronti!” urlò Piero, da sotto. “Prima porteremo su la scrivania.”

“Metterò la scrivania… qui!” cominciò a dire Lucrezio, andando a mettersi con le spalle alla finestra chiusa. “Per non guardare il mondo, che è un figlio di puttana troppo forte!”

E, sragionando così, aprì le imposte, finendo proprio per guardarlo, il mondo.

Vide i grigi condomini sotto l’Etna e sentì il rumore dell’ingorgo al semaforo tra la circonvallazione e la via che scende fino a piazza Mengoni.

“Lo so che sarà una cosa lunga…” sospirò. “Se quel telefono non la smette di sputarmi in faccia i suoi squilli!”

Appoggiò bene le braccia sul davanzale.

Aveva voglia di accendersi una sigaretta; ma, aveva pure deciso di smettere di fumare.

“La finestra è meglio del telefono” pensò. “Sei tu che la apri e, se ti va, sei tu a sputare sugli altri. La finestra ti aiuta. La voce della strada non ha ipocrisie. Comunica una canaglieria chiara, esibita, dalla quale ci si può difendere. Non ci si dovrebbe mai scordare della strada! Bisogna custodire intatta la memoria della sua volgarità, per non averne nostalgia.”

Bussarono alla porta. Si voltò e vide Gianni e Piero che portavano la scrivania.

“Questa dove va messa?” chiese Gianni.

“Proprio dove mi trovo.”

“Non creerà impaccio a chi entra?”

“Meglio… Non mi piacciono le visite!”

Gianni rise. Invece, Piero non fece una piega.

“Non ha tutti i torti” commentò Gianni, mentre sistemavano la scrivania. “Vanno in giro certi scocciatori!”

“Ora le salgo la poltroncina” aggiunse Piero. “Così, potrà sedersi.”

“Questa è una buona notizia” disse Lucrezio. “Infatti, devo ricominciare a muovermi.”

“E come? Con la poltrona?” scherzò Gianni.

“Appunto. Io mi muovo sedendomi a scrivere… Faccio il giornalista.”

“Oh, buon per lei, allora!”

Pensò a Ottinetti, a quando aveva ricominciato a scrivere su L’Attenzione in tandem con Luisa. Era il responsabile della pagina di cronaca giudiziaria. L’esplosione di tangentopoli aveva incredibilmente aumentato il pubblico appassionato del giornalismo di inchiesta. Le inserzioni pubblicitarie, quindi, erano diventate numerose e importanti. Aveva davanti una carriera ricca… magari presto sarebbe passato a una testata nazionale… in ogni caso, aveva messo da parte ogni velleità letteraria.

“Lascia queste imbecillità a Giorgio!” aveva detto Luisa, contenta dei primi guadagni.

Questa frase era stata la fine dell’idea di scrivere biografie di dimenticati eroi… meglio i politici… proprio quei bei politici di paese, ignoranti e mafiosi… a cui aveva accennato il direttore Ottinetti.

Per fortuna, il matrimonio con Elisa si era liquefatto senza troppi drammi, poiché non c’erano figli… anche se… a nove mesi appena dalla loro separazione… Elisa era diventata mamma, grazie a un giovanissimo praticante dello studio legale Artieri e soci, professore universitario di diritto civile all’Università.

“Buon per lei, le dicevo!” gli ripete’ Gianni, forse per la terza volta.

“Buon per me, cosa?” chiese Lucrezio. “Ah, già! Si riferisce al mio mestiere… Come no… considerato che non ho una lira!”

Piero scosse la testa e Gianni rise.

Poi, uscirono a prendere le altre cose.

Quando fu solo, accarezzò il ripiano della scrivania. Gli venne subito l’istinto di cercare qualcosa in tasca.

“’Ffanculo a quando ho smesso di fumare!” mormorò.

Saltò a sedere sulla scrivania e guardò l’altra porta della stanza, oltre la quale aveva accatastato tutto ciò che gli ricordava Luisa.

“Prima fumavo anche troppo…” pensò. “Buon Dio! Quanto della sua presenza c’è ancora, in questa casa! Tolti i mobili, quante abitudini debbo ancora scartavetrare per farla andar via, quella donna!”

Aveva scelto il nuovo mobilio secondo il criterio della mera utilità. Ora, le cose per lui dovevano essere materia pura e semplice, senza incrostazioni affettive.

E niente libri!

Diffidava dei libri. Se uno ci ha a che fare in maniera ingenua, i libri rischiano d’essere una fregatura. Contengono il veleno del passato, hanno idee.

I pensieri degli altri sono madri molto soffocanti. Ti attossicano dentro, col loro spandersi lieve, quasi inavvertito. La tua personalità diventa una cera docile sotto le loro dita.

E’ più salutare non averci a che fare, coi libri!

Si alzò impazientemente e tornò ad affacciarsi alla porta che dava sulle scale.

“Gianni, Piero!” chiamò.

Non gli arrivò alcuna risposta, perciò chiuse la porta e tornò accanto alla scrivania.

Era, quindi, un uomo nuovo e chi si divertiva a telefonargli, chi era riuscito a rovinarlo, sarebbe rimasto deluso. Costui telefonava a uno che non c’era più.

Diciamo che Lucrezio aveva realizzato una specie nuova e contraria di metempsicosi. Anziché far trasmigrare la sua anima da un corpo all’altro, aveva portato il suo corpo da un’anima all’altra.

In fondo, pensava che fosse una pratica di tutti… più o meno… quando variano le circostanze della vita.

Almeno lui, lo ammetteva, aveva sempre proceduto così, fin dai lontani tempi del collegio, quando se ne stava isolato da tutti.

Adattava, man mano, la sua personalità a ciò che lo circondava.

Era, in fin dei conti, una maniera di modellare il suo Io su idee astratte, tirando fuori gli archetipi dai libri che leggeva.

Egli era il figlio del suo pensiero.

Era normale, quindi, che quel giorno, vedendola malriuscita, pensasse di buttare giù una fabbrica di se stesso per farne un’altra…

Ci fu un tocco discreto alla porta. Poi, Giorgio Fano, il suo amico critico d’arte, entrò e venne ad abbracciarlo.

“Come ti va?” gli chiese.

“D’incanto! Sono quasi pronto per il suicidio.”

“Per quello c’è sempre tempo. Ho mandato i tuoi operai a comprarti un minimo di cartoleria.”

“Ecco perché non rispondevano! Grazie, comunque! Mi ero scordato di queste importanti sciocchezze.”

“Spero che nella lista che ho fatto ci sia tutto. Sei proprio malato, nevvero?”

“Meglio dire finito… Sono già morto!”

“Che progetti ha il cadavere?”

“Cinque o sei articoli… Aspettano da troppo tempo.”

Giorgio si portò una mano sui capelli, ravviandoseli all’indietro, e andò a guardare la parete bianca accanto alla finestra.

“La sistemeremo qui!” disse.

“Che cosa?”

“Per ora, la tua tela bianca.”

“Quella che è giù, nel furgone degli operai?”

“E se anche fosse?”

“Non puoi! Quella sembra una tela bianca, ma non lo è!”

Giorgio sghignazzò.

“Come no?… E’ una tela rossa, che s’è vestita da sposa!”

“Essa per me ha un significato preciso” continuò Lucrezio. “E’ ciò che vorrei essere… il nulla, almeno, squaglierebbe pure il ricordo di Luisa!”

Si fermò per guardare il suo amico, quasi con sfida.

“Tocca a me, perciò, stabilire dove appenderla” concluse Lucrezio.

Giorgio gli diede un buffetto sulla guancia. Era l’unico, forse, che poteva permetterselo: lo sapeva e ne approfittava.

“Non parlare a vanvera!” disse. “Il critico d’arte sono io!”

Andò a sedersi sul davanzale della finestra. Era un suo gesto abituale e per Lucrezio un gran motivo d’invidia. Soffriva di vertigini e neanche in quei momenti disperati sarebbe stato in grado di fare la stessa cosa.

“Per cui faremo un cambio” continuò Giorgio. “Il tuo ritratto è un altro… Ce l’ho a casa e te lo farò arrivare domani. Per intanto, il posto è deciso: qui!”

“Che ne sai dei miei gusti?”

“Tutto! Eppoi, che m’importa dei tuoi gusti?… Piuttosto, acchiappa!”

Tirò fuori dalla tasca interna della giacca una penna dall’aria costosa e gliela porse.

“Bella!” disse Lucrezio, prendendo la penna. “Ma, cominci a farmi venire il mal di testa!”

Gianni entrò, portando due poltroncine. Lo seguiva Piero con una poltroncina e la sua tela bianca.

Lucrezio mise la penna in un cassetto della scrivania.

“Eccoci qua” disse Gianni. E, rivolto a Giorgio:

“Ho comprato ciò che mi ha chiesto.”

“Facciamo dopo i conti” disse Giorgio. Poi, tornando a Lucrezio:

“Mi costi più di una puttana d’alto bordo!”

E, ancora, di nuovo a Gianni:

“Hai comprato pure il vino?”

“E’ la prima cosa che abbiamo comprato” intervenne Piero.

“Complimenti!” esclamò Giorgio e scese dal davanzale. “Sbrigatevi a salire il tutto.”

I due posarono poltroncine e tela e uscirono, lasciando la porta aperta.

Lucrezio andò a prendere una poltroncina e l’accostò alla parete. Mise la tela bianca nel punto in cui Giorgio aveva deciso di appenderla. Portò l’altra poltroncina dietro la scrivania e si sedette.

“Fammi fumare” disse a Giorgio.

“Sei pazzo, amico?… Una volta decisi, i cambiamenti sono irreversibili. Fumo io, invece, che sono rimasto me stesso!”

Giorgio prese la poltroncina accanto alla parete e la piazzò davanti alla scrivania. Sedette comodamente, tirò fuori una sigaretta e accese. Aveva un’espressione beata, mentre gli buttava il fumo addosso.

“Per essere un vero cambiamento, noi non dovremmo restare amici” gli disse Lucrezio.

“Ti lamenti pure! Sono l’unico che ti è vicino, mentre il mondo attorno a te va a pezzi!”

“Perché lo fai?”

“Perché sono invidioso. E’ chiaro!”

“Pensavo peggio.”

“Tu riesci a fare a meno degli altri ed io no.”

Gianni e Piero entrarono, portando un tavolo sul quale era posata una scatola di cartone e una macchina per scrivere portatile.

Lucrezio si alzò e prese il telefono.

“Mettete qua” dispose.

Poggiò, poi, il telefono sul tavolo.

Guardò dentro la scatola e tirò fuori una bottiglia di vino e una pila di bicchieri di plastica.

“Beviamo?” chiese.

“Certo!” ribatté Giorgio. “Io distribuisco i bicchieri.”

“A che cosa brindiamo?” chiese ancora Lucrezio.

“Al neonato!” rispose Giorgio, con uno dei suoi abituali nonsense. “Speriamo che venga su bene.”

“Quale neonato?” s’informò Piero.

“Ho avuto un figlio” fece Giorgio. “Purtroppo, è illegittimo!”

Bevvero e poi Gianni disse:

“Se non c’è altro… andremmo via!”

“Devo pagarvi” disse Lucrezio.

“Sarebbero centomila lire.”

“Pagalo tu, Giorgio! In questi giorni… io non navigo nell’oro.”

“Come volevasi dimostrare!” esclamò lui e, rivolto a Gianni, aggiunse:

“Quanto hai speso?”

“Con le centomila lire del dottor Caro, sarebbero quattrocentosettantamila.”

“Allora, le cinquecentomila che vi ho già date bastano… Tenete pure il resto.”

“Grazie.”

E, poi, si rivolse a Lucrezio:

“Ha bisogno d’altro aiuto?”

“No” rispose Giorgio, per l’amico. “Anzi, sì!… Vai a prendere un martello e dei chiodi.”

“Giù, ho la cassetta degli attrezzi.”

Gianni uscì e Giorgio riempì di nuovo il bicchiere di Piero.

“Ne vuoi anche tu?” chiese a Lucrezio, mentre versava il vino anche per sé.

“No.”

“Non vuoi annegare i dispiaceri nell’alcol?”

“No.”

“Peggio per te… Comunque, sempre alla salute del bambino!”

Bevve e posò il bicchiere vuoto sulla scrivania.

In quel momento, Gianni tornò con la cassetta degli attrezzi.

“Appendila lì, quella tela” gli ordinò Giorgio, indicando la parete.

Gianni prese una sedia, vi salì sopra, appoggiò il chiodo in un punto del muro e si voltò, per chiedere l’approvazione.

“Una decina di centimetri più in basso” pignoleggiò Giorgio, sogguardando come fanno i critici durante gli allestimenti delle mostre.

Gianni eseguì e si voltò di nuovo. Giorgio assentì, per cui il chiodo fu piantato.

“Ora è tutto a posto?” chiese Gianni, dopo avere appeso il quadro.

“Tutto a posto, grazie e arrivederci!” disse Lucrezio, con un tono un po’ insofferente.

“Arrivederci” disse pure Gianni.

“Arrivederci” fece eco Piero.

“Perfetto” concluse Giorgio, accompagnandoli alla porta. “Ci vediamo… ragazzi!”

Lucrezio si sentiva stanco ed avrebbe preferito restare solo. Ma Giorgio era il suo migliore amico. Qualcosa, quindi, gliela doveva.

“E così hai già stabilito la tua presenza anche nella mia nuova vita” gli disse.

“Lo dici perché ho scelto il posto per il tuo ritratto?”

“C’è di più.”

Tirò fuori dalla scatola tutta la cancelleria che Giorgio gli aveva comprato e la sparpagliò sulla scrivania.

“Usando queste cose, mi ricorderò di te, capisci?… Io, invece, vorrei avere a che fare soltanto con quel fottuto telefono!”

“E perché?”

“E’ un mio nemico… Quindi, la sua presenza mi è necessaria, se è vero che l’odio fortifica… mentre tu mi fai dimenticare l’odio e, perciò, mi indebolisci!… Nel mio progetto tu non dovresti esistere.”

“Ne sono lusingato.”

“Cosa buona per te!”

Giorgio prese un foglio, lo infilò nel rullo della macchina per scrivere e batté un tasto. Poi, parve pentirsi e chiese:

“Preferiresti avere il computer?”

“Che me ne faccio, se il lavoro non ce l’ho più?”

“E gli articoli che devi scrivere?”

“Tentativi! Basta la portatile, per quella roba. Magari, se mi affideranno qualche collaborazione, ricomincio a tutto campo con un computer nuovo di zecca.”

“Pensa a star bene, allora.”

“Una parola! Sarei già contento se riuscissi a dormire.”

“Ed anche a mangiare, no?… Ci nuoti, dentro i pantaloni!”

“Già… Anche a mangiare!”

Giorgio andò vicino alla finestra. Accese una sigaretta; ma, dopo poche boccate la buttò via, direttamente sulla strada.

Appariva nervoso.

“Ascolta, Lucrezio…” cominciò a dire.

Lucrezio lo guardò. Giorgio si portò le mani sulla testa, come per raccogliere le idee. Poi, lasciò perdere e, con un sospiro, disse:

“Niente!… Io ti starò sempre vicino.”

Squillò il telefono.

“Non toccarlo!” urlò Lucrezio.

Ma, subito, costringendosi ad un maggior controllo, aggiunse:

“Vedrai, che ora starà zitto.”

Invece, gli squilli continuarono, finché Lucrezio non si precipitò a rispondere.

“Pronto!”

All’altro capo del filo la comunicazione venne subito chiusa.

Quando riattaccò, Lucrezio doveva avere un’aria distrutta.

Giorgio sbottò:

“Ma che razza d’imbecille dev’essere chi si diverte così?”

“E’ già successo molte volte.”

“Perché non stacchi il telefono?”

“Non ci riesco… Vai via, Giorgio… Vorrei scrivere.”

“Che amico sarei, se me ne andassi?”

“Il migliore, perché voglio imparare a star solo. Se oggi soffro è perché non riesco a stare solo… con Luisa ho perso l’allenamento.”

“Basta. Usciamo da qui.”

“Se imparassimo a stare soli, potremmo essere come Dio! Magari all’immortalità no, ma… cazzo!… all’invulnerabilità sì!… Almeno all’invulnerabilità ci arriveremmo!”

“Usciamo, per favore.”

“Non puoi farti tenere in pugno dagli altri!… Non è ammissibile che ci si debba sentire vivi soltanto se si ha vicino la propria donna!”

“Sono riflessioni sceme, Lucrezio! Usciamo.”

“Ero in collegio… tutti eravamo contro tutti… Finalmente, avevo imparato a fare a meno di tutti. Poi, è bastata Luisa per infognarmi di nuovo!”

“Finiscila! Usciamo.”

“Non posso. Devo ricostruire il mondo.”

“Tu non stai ricostruendo nulla! Hai solo messo dei mobili in una stanza.”

“Sarà pure come dici tu…”

“Va bene, quindi… Usciamo!”

“E dove andiamo?”

“Ti porto in una pizzeria.”

“Dimmi che c’è di meglio, a questo mondo!”

2

La costruzione del corrotto

Circa due mesi dopo aver cambiato i mobili della sua casa, Lucrezio Caro era di nuovo seduto sul pavimento, al buio, nella stessa, identica stanza di sempre, tornata vuota, tranne il telefono accanto a lui, con in più un quadro appeso alla parete.

Nel dipinto si vedevano le rocce aspre e scure del paesaggio etneo, sopra le quali in diagonale stava scritto:

GLI OCCHI DI TYRONE POWER.

Quella frase era la parte più vistosa, poiché era stata composta con abbondante vernice rossa, tanto da determinare alcune colature di colore, che facevano pensare a certe opere di Schifano.

Il giorno prima i muri erano stati tinteggiati (questa volta di rosa). Infatti, il suo stato d’animo era molto, ma molto diverso, perché con lui ora c’era Anna Nolte…

Che finalmente entrò, con passo lieve…

“Ah, eccoti!” disse Anna, mentre tirava fuori dalla borsetta il pacchetto delle sigarette e l’accendino. “Il camion coi mobili è qui sotto!”

Dopo avere acceso, aprì la finestra:

“C’è un sole magnifico!”

Suonarono alla porta.

“Vado ad aprire” sospirò Lucrezio, alzandosi.

Rientrando, seguito da due facchini che portavano un divano, Lucrezio vide Anna che buttava la cicca dalla finestra.

“Gesto pessimo!” esclamò. “Giorgio lo fa sempre, quando viene qui.”

“Che cosa?”

Lucrezio indicò la finestra:

“Butta le sigarette da là.”

Poi, si rivolse ai due uomini:

“Entrate pure…”

I due posarono il divano in mezzo alla stanza e uscirono, senza dire una parola.

“Chissà se parlano…” si domandò Lucrezio.

E, indicando il divano:

“Forza, sistemiamolo meglio… non addossiamorlo alla parete, però… la libreria la piazzeremo dietro… mia cara, sarà questo il tuo più grande rimorso!”

“Quale?”

“Non odio più i libri!”

Quando il divano occupò lo spazio giusto, Lucrezio tolse il telefono da terra.

“E neppure il telefono mi fa paura!” aggiunse, sedendosi con l’apparecchio in grembo.

Si accomodò meglio e batté la palma sullo spazio accanto a lui, per chiamare Anna.

“Ora ti dirò il mio progetto…” continuò, quando ebbe vicino la donna. “Voglio scrivere un pamphlet apologetico sulla corruzione.”

“Che scemo!”

“Ecco come parla il pregiudizio!”

“Dimmi come parli tu, allora!”

“Certamente! E ti dico che la storia, quella con la esse maiuscola, deve molto alla corruzione, quella con la ci maiuscola! E’ una gran puttana, la storia, ma i figli le vengono bene!… L’arte migliore è nata dalla corruzione. Si disse, ed io ci credo, che dietro il Partenone ci fosse un bel po’ di peculato e la Cupola di San Pietro fu pagata con la vendita delle indulgenze.”

“E poi, ultimamente, da queste parti, la tua amica corruzione ha partorito il nuovo policlinico che stava per distruggerti…”

“E con ciò?”

“Quell’opera d’arte ti ha quasi portato alla demenza!”

“Che vuol dire? Se mi ha fatto male, ora so che mi ha fatto anche bene…”

Entrarono i facchini, portando due poltrone intonate col divano. Silenziosamente, le misero ai lati del divano e uscirono.

“Debbo telefonare a Giorgio” disse Lucrezio.

Poi, guardando il quadro:

“Che c’entreranno mai gli occhi di Tyrone Power con quel paesaggio?”

“E che ti aspettavi da Giorgio?”

“Conoscendolo, direi una roba del genere… Ma, sotto ci sarà qualcosa, ne sono sicuro.”

“E’ un gioco intellettuale, una metafora, insomma!”

Anna guardò il quadro, porgendogli la nuca. “Il titolo discordante con la figurazione ricorda la pittura di René Magritte… Piuttosto, ci vedrei una punta di drammatizzazione… la pietra è così scabra, così apparentemente senza vita… eppure, mantiene la bellezza degli occhi di Tyrone Power!”

Lucrezio le mordicchiò l’orecchio. “E perché, dopo che mi ha mandato il quadro, è sparito dalla circolazione?”

“Per lavoro, probabilmente” rispose Anna, voltandosi e dandogli un veloce bacio sulle labbra.

“No. Sono settimane che su L’Attenzione non trovo articoli suoi.”

“Si sarà voluto prendere una vacanza, sarà caduto nella depressione come te… Che ne so… Eppoi, non è che tu l’abbia cercato molto!”

“In effetti, non l’ho cercato. Da quando preparo l’uscita del tuo giornale trascuro tutti. Anzi, li ho proprio dimenticati… ma, non è da Giorgio dileguarsi così!”

“Beh, morto non è. Si sarebbe saputo.”

Furono distratti dai facchini, che entrarono portando una libreria bassa e lunga. La posarono ed andarono via.

“Sistemiamola” disse Lucrezio, alzandosi.

Mentre sistemavano la libreria alle spalle del divano, Lucrezio fu preso da una certa commozione. “Adesso non ho più paura… Posso rivelarti tutto…”

Anna lo guardò.

“Non fui buttato fuori dalla redazione di L’Attenzione per i miei articoli sugli appalti del nuovo policlinico…” continuò. “Ora posso parlare perché tu hai saputo darmi ben più del lavoro.”

“E’ vero. Se il concetto d’amore esiste, ti ho dato di più.”

“Insomma, ora posso guardare la gente come guardo te: senza aspettarmi una coltellata.”

“Cosa è successo veramente, due mesi fa?”

Lucrezio andò a sedersi sulla poltrona.

“Dammi una sigaretta” disse.

“No. Ma, se vuoi, non fumo neppure io.”

Tornarono i facchini. Uno portava un tappeto arrotolato e l’altro un tavolinetto di legno nero e di cristallo. Disposero il tappeto davanti al divano e sopra vi misero il tavolinetto. Poi, uscirono senza aver detto una sola parola.

“Dunque…” sollecitò Anna.

“Dunque… Chiarisco subito che hanno fatto il tiro a segno su di me… Mi buttarono fuori dal giornale accusandomi di un ammanco di cassa.”

“E come hanno potuto?”

“Per come stavano le cose, hanno potuto, eccome!… Dovevano farlo; anche se io non c’entravo nulla con la scomparsa di quei soldi.”

“Quant’erano?”

“Più di centocinquanta milioni.”

“Mica male!… Chi se li prese?”

“Chi mi diceva che ero l’unico bene della sua vita… Luisa.”

Lucrezio si alzò. Era nervoso, davvero nervoso… L’umiliazione ed il dolore si risvegliavano intatti. Anna mosse le labbra per commentare, ma preferì tacere.

“Da due anni era la mia compagna…” riprese. “Per lei avevo lasciato mia moglie.”

“Non ne parlare, se non te la senti” disse Anna.

“Invece, è meglio che me lo cavi, questo dente… Ormai, il fastidio che doveva darmi l’ho preso tutto.”

“Come vuoi” fece Anna, sottovoce.

“Seppi troppo tardi che Luisa aveva perso la testa proprio per il progettista del policlinico, un certo Mario Galfano.”

“Perché nessuno ti ha mai accusato pubblicamente?”

“E chi doveva farlo? I miei colleghi? Galfano?”

“Perché no, Galfano? I tuoi articoli su L’Attenzione lo mettevano sotto accusa ed erano regolarmente ripresi dalla stampa alternativa della Sicilia… forse Luisa era il suo scudo… Magari una bella dichiarazione pubblica, tipo da che pulpito viene la predica… e ti avrebbe tolto ogni residuo di credibilità… Perché non l’ha fatto?”

“Si vede che gli è bastato il mio licenziamento.”

“Troppo facile.”

A quel punto, Lucrezio decise di dirle ciò che da sempre sospettava:

“Allora può darsi che Luigi Ottinetti, il mio direttore, mi abbia usato come merce di scambio. Io venivo licenziato e Galfano non avrebbe affondato il coltello su L’Attenzione.”

“Non pensi, invece, che in redazione c’era qualche suo amico? Giorgio, per esempio?”

“Forse, ma che se ne faceva? Per le informazioni, gli bastava Luisa, che di me sapeva tutto.”

“Non quadra.”

«Et pourquoi, madame? »

“Manca la solidarietà dei tuoi colleghi… Di Giorgio, soprattutto.”

“Ci fu. Se non mi sputtanarono, è perché i centocinquanta milioni li tirai fuori… Intervenne proprio Giorgio.”

“Giorgio ti diede tutto quel denaro?”

“In parte. Ottanta milioni li avevo già. Disse che, in fondo, pagava un debito… a me era capitato di aiutarlo, qualche volta.”

Lucrezio tornò a sedersi. “Per favore, dammi una sigaretta.”

Anna prese il pacchetto dalla borsa. “Ci vorrebbe un posacenere… Mica possiamo continuare a buttare le cicche dalla finestra!”

Spuntarono i facchini con un complesso stereo e un televisore. Anna posò borsa e pacchetto sul tavolinetto.

“Bene, ecco gli angeli soccorritori!” esclamò. E a loro:

“Posate tutto a terra. Ma, portateci qualcosa che assomigli a un portacenere.”

Uno dei due annuì. Lasciarono il tutto vicino alla porta ed uscirono.

“Che suono avrà la loro voce?” si chiese Lucrezio. “Bah!… Dai, sistemiamo lo stereo!”

Anna indicò un punto. “Il gruppo centrale va messo là, nell’angolo.”

Lucrezio eseguì l’ordine.

“Ora sposta la libreria verso destra… non vedi che è troppo simmetrica al divano?”

Lucrezio spostò la libreria.

“Le casse acustiche devono stare ai due lati della stanza.”

Vennero sistemate le casse, furono inseriti gli spinotti e la spina… e lui si allontanò un po’, per vedere l’effetto generale.

“Apposto!” esclamò. “Ah, il telefono!”

Prese il telefono e lo poggiò sul ripiano della libreria.

Misero il televisore di fronte, lasciandolo per terra, in attesa di comprare il mobiletto adatto. Nel frattempo, i due uomini tornarono e portarono quattro sedie ciascuno. Uno aveva pure un portacenere di plastica e lo diede ad Anna, che lo poggiò sul tavolinetto.

Subito dopo, i due uscirono.

“Manca ancora il vaso di ceramica” concluse Lucrezio, guardandosi intorno. “Però… c’è un bel salto, rispetto a prima!”

Circondò con un braccio le spalle di Anna. “E così la mia stanza cambia ancora… cambia la stanza e cambia il personaggio… Ora, sono un borghese tranquillamente innamorato, che ha comprato l’arredamento in un negozio del centro.”

“Risparmiando tempo, fra l’altro!” confermò Anna. “Ognuno col suo mestiere. Il tuo non è quello di assemblare mobili… come, con gusto discutibile, avevi fatto.”

“L’avevo fatto seguendo il mio stato d’animo d’allora.”

“Era soltanto pazzia… Domani porterò pure dei fiori. Ora, perché non ci fumiamo la nostra sigaretta?”

Gli porse una sigaretta e ne prese una per sé.

Finalmente, accesero.

“Ahhh…” fece Lucrezio.

“Stavi dicendomi di Luisa…”

“Gelosa?”

“Un po’… Dovevi tenerci molto, se ti ha ridotto tanto male!”

“Più che altro, era ormai un’abitudine. Certo è che di lei mi fidavo ciecamente… Conosceva tutti i particolari della mia inchiesta sul policlinico: le mazzette date da Galfano ai politici, il fatto che i titolari della ditta costruttrice erano prestanomi di Galfano, i materiali non corrispondenti a quelli indicati nel capitolato…”

Rientrarono i facchini con un grande vaso di ceramica e un tripode. Lucrezio indicò un punto ed essi sistemarono il vaso.

Poi, egli trasse fuori dal portafogli una banconota da cinquantamila lire.

“Grazie” disse al più vicino, porgendogli la banconota.

“A lei” farfugliò l’uomo.

L’altro salutò toccandosi la visiera del berretto e annuì, mentre col compagno era già sulla porta.

“Hai sentito?” buffoneggiò Lucrezio, sottovoce. “Uno dei due parla!”

“Uno solo!” rise Anna, sottovoce.

“Non si può avere tutto nella vita.”

Ma, evidentemente non avevamo parlato abbastanza sottovoce, perché l’operaio si voltò e gli diede addosso con lo sguardo.

“Non prendertela, amico…” si scusò Lucrezio. “Pensavo che non era male sentirti dir qualcosa… che ne so… magari buongiorno!”

“Ho i miei problemi” rispose.

Lucrezio si sentì mortificato. “Certo… Certo… Scusami, allora!”

“E di che?… Buongiorno, comunque!”

Uscì, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle.

“Bingo per lui!” commentò Anna. “Perché non finisci di raccontarmi la tua storia, adesso?”

Lucrezio si grattò il mento, mentre decideva di tornare al vizio del fumo. Accese e riprese il suo racconto:

“I centocinquanta milioni scomparsi mi erano stati affidati per una campagna di solidarietà a favore di un bambino ammalato di leucemia. Li avevo depositati in un conto corrente a nome mio e di Luisa per consegnarli con un semplice assegno. Te l’ho detto… di lei mi fidavo.”

Anna cercò di mascherare il fastidio con uno sguardo ironico. D’altra parte, quel discorso (che, però, andava fatto) spiaceva anche a Lucrezio, che continuò:

“Ciò che non mi va giù è che ci ho rimediato la mia solita figura di cretino… bastò una telefonata di Mario Galfano per mettermi nel sacco…”

“Come, come? Tu e Galfano eravate in contatto?”

“Ci siamo sentiti una volta. Mi chiamò, pare, dalla Liguria. Ma, non ci capii molto… Senza darmi il tempo di riprendermi dallo stupore per la sua telefonata, disse che voleva spedirmi dei documenti, roba sufficiente a far ammanettare molti, anche gente che non conoscevo. Da quel momento cominciarono a demolirmi. Prima ci furono le telefonate anonime. Sapevano tutto di me e minacciavano di mettere in piazza le vergogne… comprese alcune coglionerie con una femme pour la nuit convinta di essere una grande attrice. Dopo, Luisa, inspiegabilmente, cambiò atteggiamento. Prese a rinfacciarmi tradimenti presunti… e quel tradimento vero, anche se ben presto dimenticato.”

“E da chi lo seppe?”

“Non lo so. Probabilmente, da uno dei tanti vermi che popolano questa nostra valle di lacrime!”

“Sentiamo il seguito, allora.”

“Scoprii la nuova relazione di Luisa nella maniera peggiore. In redazione mi chiesero i soldi e in banca non trovai nulla. In compenso, a casa c’era un biglietto, dove Luisa mi comunicava che se n’era andata via. Poi, mi arrivò una telefonata dallo studio legale del professor Artieri… ne sapevo qualcosa, perché un loro praticante convive con la mia ex moglie… penso che parlava Artieri in persona, almeno si presentò così… mi disse che Luisa e Galfano erano partiti insieme… sentii in sottofondo una risatina che mi parve quella di Elisa.”

“E Artieri chi è, di preciso?”

“Un professore universitario, molto addentrato nella politica nazionale… probabilmente, è uno dei pochi che conoscono la città per quella che veramente è… Sospetto che sia l’unico che qui conti più del sindaco… sicuramente comandava su Galfano.”

“Eri arrivato troppo in alto, quindi?”

“Peggio! Ero a piedi scalzi in un nido di vipere… Infatti, poco dopo il telefono prese a squillare decine di volte al giorno… appena rispondevo, riattaccavano.”

“Era Luisa?”

“Quelle telefonate potevano essere un suo messaggio.”

“O, più semplicemente… era la vendetta di Elisa su di te, suo ex marito…”

“No. Uno come Artieri… non si presterebbe a queste minuzie!”

“Forse no… ma, per essere sicuri, bisogna finire l’inchiesta.”

“Già! Troviamo chi ha pagato le bollette del telefono e tutto sarà chiaro.”

Anna fece una smorfia divertita.

“Non è un’idea malvagia” disse. “In ogni caso, il problema da superare è solo nella tua testa… e nel tuo cuore.”

Infatti, Lucrezio non era sicuro d’esser pronto. Per saggiare le sue reazioni, volle entrare nella stanza accanto, quella che fino a quel momento era rimasta chiusa.

Lì c’erano tutti gli oggetti che gli ricordavano Luisa.

“Sono più di due mesi che non apro questa porta…” cominciò a dire.

Si guardò intorno; per un po’, forse a lungo.

“Pare che non m’impressioni più” concluse, sottovoce.

E, con tono più alto:

“D’accordo… Finirò l’inchiesta.”

“Bene” disse precipitosamente Anna.

Gli andò vicino e gli diede un rapido bacio sulle labbra. “Adesso telefona a Giorgio.”

“Che premura c’è?”

“Hai un’idea migliore?”

Le mise una mano fra le gambe. “Ho l’idea migliore… esclusa l’invenzione delle patatine fritte!”

3

Le mille luci dei diamanti

Nel tardo pomeriggio di quel giorno, Lucrezio sorprese Anna al telefono.

“Allora, l’aspetto…” diceva all’interlocutore.

Egli la baciò sul collo; ma, lei gli fece vivaci cenni di star zitto.

“Perfettamente d’accordo…” riprese. “Sapevo che lei è un uomo cortese… ragionevole in ogni caso. Mi creda, per venire le basteranno una quindicina di minuti, non di più… Le do l’indirizzo: via dell’Orto, cinquantasei… cinquantasei, sì… Ah, attento! Il nome sul citofono si vede male. E’ stato scritto col pennarello e si è sbiadito… Però, è facile individuarlo. E’ il più sbiadito… Va bene, quindi… A fra poco.”

Posò la cornetta con aria soddisfatta.

“Ed ora, a Giorgio!”

Compose il numero ed aspettò.

Inutilmente, perché non rispose nessuno.

Que pasa?” le chiese Lucrezio.

Nada… capricci!”

“Allora, è peggio!”

“E’ meglio di non far nulla.”

“Ecco! Sta a vedere che in quella telefonata c’entro io!”

“Vanitoso!”

“Con chi parlavi, allora?”

“Con Artieri.”

Lucrezio sentì un artiglio dentro lo stomaco, che lo riportò a due mesi prima. Il nemico poteva fargli ancora molto male. Ma, era pure vero che doveva affrontarlo, presto o tardi. Meglio subito, allora.

“Stacci lontana!” disse stridulo. “Gli parlo io, a quel verme figlio di puttana!”

“Non ti dar tante arie!” rispose Anna. “Le donne non sono più il sesso debole… Sono cambiate, adesso.”

“Però, i figli di puttana sono rimasti quelli di una volta… Quindi, ripeto: è meglio che gli parli io!”

“Per dirgli che? Forse non è neppure Artieri la chiave per capirci qualcosa, nella tua vicenda… E, comunque, se soltanto la metà di ciò che dicono di lui è vera, non ci sperare proprio che tu, con tutta la tua arte oratoria, lo metti nel sacco!”

“Esatto, il punto debole è Galfano. E’ lui che mi ha telefonato, volenteroso d’incasinare il suo capo.”

“Già, ma Galfano dov’è?”

“Lo sa Luisa e anch’io vedrò di saperlo presto.”

“Magari sarà Artieri a portarci da lui.”

“Che interesse avrebbe?”

“Boh!… Una carta buona da giocare è il fatto che Galfano ti ha telefonato, pronto a tradirlo… Glielo riveliamo e vediamo che succede.”

“Ma… non l’ha tradito!”

“E questo non glielo diciamo… Eppoi, chissà… Potrebbe sempre farlo in futuro. Il dubbio è l’apriscatole giusto per le corazze come quelle di Artieri. In ogni caso, che ne sa, lui, di ciò che Galfano ti ha veramente detto?”

“Mi sembra che poco fa, al telefono, ha cominciato a saperne qualcosa…”

“Non mi penserai così ingenua da…”

“Spero di no.”

“Purtroppo, ci sono le intercettazioni telefoniche e le balle dette lungo il filo possono essere rischiose. Ho accennato a Galfano soltanto per favorire l’incontro… ed ho accennato al suo praticante e alla tua ex moglie…”

“E che gli diremo, quando verrà?”

A quel punto, suonarono alla porta.

“Vai a vedere chi è” disse Anna.

“Ci andrò” le disse Lucrezio, piano.

Mise la lingua fra le sue labbra e finse un brivido di eccitazione.

“E’ seccante…” aggiunse. “Quando la gente non trova di meglio da fare che disturbare sul più bello!”

Era Giorgio.

Lucrezio notò con stupore alcuni importanti cambiamenti. Per esempio, era vestito con l’abituale eleganza: completo antracite, camicia azzurro pallido e cravatta blu intenso con barocchi ricami rossi. Però, egli era sicuro che quelle scelte cromatiche erano state fatte di premura. Mancavano di originalità; non c’era quel grano di bizzarria a lui necessario per essere lui. Gli vide, inoltre, molti capelli grigi, più di quanti ne ricordasse.

“Non c’è più bisogno di telefonare a Giorgio… E’ qui” disse Lucrezio ad Anna, rientrando.

“Telefonavate a me?” si stupì Giorgio. “Ciò mi lusinga davvero!”

“Ciao” lo salutò Anna, andandogli incontro.

“Come va?” chiese lui.

“Non so” rispose Anna. E poi, guardando Lucrezio:

“Che dici, Lucrezio? Potrebbe andar meglio?…”

“Non mi pronuncio” rispose Lucrezio. “Non pongo limiti alla gioia del Budda!”

Quindi, si sedettero, coi bicchieri e la bottiglia di cognac davanti.

“Bene, amici” disse Giorgio, dopo aver mandato giù un bel sorso. “Com’è il tempo sulla montagna di Venere?”

“Buono. Giusto quanto basta per tornare ad incasinarmi!” disse Lucrezio.

“Già pronto al cimento, neh?… Iterum rudit leo!

Posò il bicchiere e si mise molto comodo. Curiosamente, riusciva ad occupare l’intero spazio dei larghissimi braccioli. Era un controllo del territorio, il suo, più che uno star seduto a conversare.

Anna parve infastidita e disse, seria seria:

“Lucrezio vuol riprendere l’inchiesta esattamente da dove l’ha interrotta.”

“Bene” fece Giorgio con un’espressione ora composta. “Chi la pubblica?”

Aurora… è il nuovo giornale che ho fondato!” disse seccamente Anna.

Poi, all’istante – fu quasi un gesto proditorio, un’incursione alle spalle… – riprese il suo sorriso cordiale e chiese:

“Cos’è successo veramente, due mesi fa?”

“Ci furono tanti guai per Lucrezio… Roba da farti perdere ogni fede in Dio e nel prossimo tuo!”

“Questo lo so, ma è soltanto la punta dell’iceberg.”

“Probabilmente.”

Anna prese il pacchetto delle sigarette.

“Vuoi fumare?” chiese a Giorgio.

“Avrei deciso di smettere…” egli disse. “Però, però… che posso farci?… La carne è debole, se mi si perdona la frase scontata, eppur disgraziatamente vera!”

Allungò la mano, prese una sigaretta e la guardò con amore. “Porta il cancro e l’alito diventa una fogna… Eppure…”

Nec tecum nec sine te vivere possum!” completò Lucrezio, citando Catullo.

“Ottima!… Posso prendere un appunto?” provocò, sarcastico, Giorgio.

In realtà, Lucrezio si sentiva inquieto, senza sapere il perché. “Fallo, ma non approfittarne troppo.”

“Da decenni sto sui tre pacchetti al giorno” riprese a dire Giorgio, mentre accendeva. “Ma, il cancro ancora non s’è deciso a venire… Eppure, il cancro sarebbe una buona morte. La aspetti a letto, tranquillamente, al caldo, con tutto il tempo per sapere che la morte è morte… e basta!… Nessuna mistificazione eroica, nessun camuffamento!”

“Come accadde ad Ettore sotto le porte Scee?” chiesse Lucrezio.

“Ah! Ti riferisci a quel retoricissimo poema che ancora vi sforzate di far piacere al menefreghista pubblico odierno? Sì, il deprecato concetto era quello!”

Qui Anna volle riportare il discorso sui binari giusti e disse:

“Sono sicura che coi suoi articoli Lucrezio abbia solo sfiorato la verità sull’affare del policlinico…”

“Beh, anche così, scatole ne ha rotte tante!” disse Giorgio. “In questa città gli imprenditori si contano sulla punta delle dita di una mano… Galfano non era merce che si potesse toccare senza mettere in discussione un bel po’ di posti di lavoro!”

Era, questa, un’osservazione comune, un’osservazione che non stava in piedi e che irritava Lucrezio. “Con tutti i soldi che ruotavano attorno al policlinico c’era di che fare abboffare un milione di poveracci!”

“E’ vero!” rispose Giorgio, quietamente. “Lo sai tu, lo sa Anna e lo so io… Ora, però, spieghiamolo ai disoccupati… L’impresa Galfano ha chiuso!”

“Non sarà stata colpa mia, per caso?” saltò su Lucrezio. “Io ho soltanto scritto ciò che succedeva. Chi ha perduto il lavoro se la prenda con chi li combinava, gli intrallazzi, non con chi li ha denunciati!”

“Che vuoi farci? E’ gente grossolana!” sfotticchiò Giorgio. “Pensa un po’… ce ne sono ancora tanti che giocano al tirasegno con la tua fotografia!”

“Chiaro!” si intromise Anna. “Allora, è per questo che hanno sentito il bisogno di distruggerlo? Non bastava farlo licenziare da L’Attenzione?”

“Non bastava” rispose Giorgio. “Erano troppi gli amici che volevano ballare sul suo cadavere.”

“Dici che erano gli operai a farmi le telefonate mute?” disse Lucrezio, ironicamente.

“Questo no” rispose Giorgio.

“E chi, allora?” incalzò Lucrezio.

“Già, chi?”

Anna lo guardò negli occhi con molta serietà e disse lentamente:

“Hanno voluto inebetirlo, prima che andasse troppo avanti… Hai qualche pensiero, al riguardo?”

“Più che un pensiero, ho una domanda… che non cambia…” disse Giorgio, mandando giù in un sorso il cognac rimasto nel bicchiere. “Resta a vedere chi telefonava!”

Poi, mentre tornava a servirsi. “O, forse, conviene dire: sta a vedere… quanti!… telefonavano!”

Lucrezio divenne attento in misura spasmodica. Forse, la storia prendeva una svolta interessante. Onestamente, fino a quel momento non aveva messo in conto che… forse… a fargli le telefonate mute c’era stato pure qualche altro. Già, forse all’altro capo non c’era Luisa; o, almeno, non solo lei… forse… forse…

Purtroppo, in quel mentre, a suo parere inopinatamente, Anna indicò Gli occhi di Tyrone Power e chiese:

“Che significa quel quadro, Giorgio?”

“Ti rispondo con Picasso: quel quadro vuol dire un quadro.”

Ella si alzò e prese dalla libreria l’Annuario dei pittori contemporanei, lo sfogliò un poco e lo chiuse.

“Ho cercato il nome del pittore” disse. “Qui non c’è nessun Vincenzo Aurese.”

“Non può esserci” confermò Giorgio. “Vincenzo Aurese vale meno di un imbianchino.”

“Non è strano che un critico d’arte faccia un regalo simile?”

“Il perché del mio regalo lo sa Lucrezio…”

“Come faccio a saperlo?” disse Lucrezio, ancora perso dietro alle sue riflessioni e ancora infastidito per l’intervento di Anna. “Sono mica un dadaista, io?”

“Non alludevo all’estetica!”

“Anche Oscar Wilde invecchia!” pensò Lucrezio. Questa volta Giorgio aveva mancato la battuta… niente colti non-sense e/o bagliori surreali. Con la sua rispostuzza, gli era rimasto davanti… così scopertamente, così banalmente… stizzito!

Anna, ovviamente, ne approfittò subito per un altro affondo.

“Spiegati meglio, Giorgio” disse.

“Quel quadro rappresenta molto nella vita di Lucrezio… e nella mia!”

“Certo” disse Lucrezio. “Rappresenta l’idea che i tuoi regali, come le mie inchieste, non valgono granché.”

Giorgio lo guardò ansioso. “Vuoi dirmi che tu non l’avevi mai visto prima?”

“Mai!”

Visibilmente turbato da questa risposta, Giorgio si volse ad Anna. “Potrei avere un bicchiere d’acqua?”

Anna andò in cucina. Lucrezio Io guardava perplesso, mentre se ne stava col capo chino, finché non poté mandare giù qualche sorso.

Poi, con inaspettata enfasi, Giorgio cominciò:

“Pensavo che tu sapessi che quel quadro apparteneva a Luisa…”

Si alzò. Andò fino alla libreria e ne accarezzò il bordo.

“Sto scrivendo un racconto…” cominciò.

Anna guardò Lucrezio, perplessa. Giorgio se ne accorse e Lucrezio rivide negli occhi dell’amico quell’antica compiacenza di stupire gli uditori.

Giorgio continuò:

“Il protagonista si chiama Mimmo Fanti. Tra il quarantaquattro e il quarantacinque, di ritorno dalla Russia, si ritrova partigiano sulle Langhe cuneesi. Prende un nome di battaglia, Arturo, e sul fazzoletto fa scrivere un motto: Basta con le donne!… Ora, dice a tutti, il momento è serio e le donne non c’entrano, le donne fanno diventare la vita di un uomo una giostra un po’ cretina…”

Qui si avvicinò ad Anna.

“Vedrai che il nesso c’è” le disse. “Però, risparmiami il femminismo, per favore…”

“Non me ne importa nulla” ella rispose. “Infatti, ti ascolto. Continua.”

“Pochi mesi prima dell’arrivo degli alleati, il nostro eroe viene catturato dai fascisti ed a questo punto della storia entra in ballo un fucile!”

“Ecco! Ci avrei giurato che spuntava un’altra cosa!” esclamò Lucrezio. “Alla fine, non ricorderemo più di che si parlava!”

Giorgio lo guardò serio. “Me ne ricorderò io, purtroppo… Anche se accetterei di farmi seppellire vivo, se servisse a scordarmene!”

Si volse ad Anna. “Parlerò con te, che hai più pazienza!… Quel fucile appartiene al suo migliore amico, Filippo Lante… E’ nelle Brigate Nere e lo fa fuggire il giorno dopo la cattura. Dai tempi del liceo avevano diviso tutto, tranne quell’ultimo maledetto scorcio di quella maledetta guerra… Al contrario di lui, l’amico non lo ha dimenticato. Lo nasconde a casa sua, lasciandolo solo con la moglie… Un giorno Filippo rientra inaspettatamente e li trova a letto insieme…”

Giorgio si avvicinò al quadro. Stette ad osservarlo per un po’. Poi, lo accarezzò delicatamente.

“Il fucile è stato nascosto qui dentro” disse, indicando il quadro. “Con quell’arma, un uomo si è sparato in bocca davanti ai due amanti… questo gesto è stato un grido di amicizia. Non gli era possibile reagire altrimenti…”

Lucrezio notò che Giorgio era percorso da un lievissimo tremore…

“E’ venuto il momento più brutto, Lucrezio…”

Anna si spazientì:

“Fai meno teatro, Giorgio, e vieni al dunque!”

“Filippo Lante era un uomo coraggioso” rispose Giorgio, sempre rivolto a Lucrezio. “La sua non fu una fuga, ma la vendetta più crudele… Soltanto dopo, da vecchio, inutile e solo, Mimmo Fanti lo avrebbe capito e mi avrebbe raccontato tutto…”

Voltò improvvisamente le spalle a Lucrezio. Prese un’altra sigaretta dal pacchetto di Anna, andò alla finestra, accese e buttò il fiammifero direttamente sulla strada.

“Non lo so se io mi sono comportato peggio o meglio… La verità è che Luisa ti ha lasciato per me, Lucrezio!” disse, quasi sottovoce.

Non era male, come colpo di scena.

Ci fu una lunga pausa.

Poi, riprese:

“Ero convinto che tu avessi già capito tutto, il quadro era un messaggio… Per questo oggi sono venuto! Speravo che la tua nuova situazione mi rendesse più facile chiederti scusa…”

Lucrezio avvertì la mano di Anna sulla sua. Nella sua testa, però, c’erano soltanto le spalle di Giorgio, in controluce davanti alla finestra. Fu come se avesse perso i lineamenti del viso.

“Quando Luisa mi regalò Gli occhi di Tyrone Power disse che lì c’era… come dire?… lì c’era tutto di lei… Vi avrei trovato la chiave del suo passato e del suo presente. Disse pure di averlo acquistato in un momento importante… A quindici anni, mi pare.”

Ne erano successe di cose, due mesi prima!

Lucrezio restò a guardare Giorgio. Gli pareva che qualsiasi sua reazione, a quel punto, sarebbe suonata falsa, innaturale. Davvero, non sapeva che fare.

Giorgio riprese:

“Non trovando il coraggio di parlarti, ho pensato che, facendoti arrivare il quadro, avresti capito che tra te e lei c’ero io…”

Si voltò. Per un lungo istante, ebbe negli occhi un’espressione esaltata, anzi di vera e propria sfida… tanto che Lucrezio distolse i suoi… urtato, anzi quasi quasi inverosimilmente annoiato, o almeno senza nessuna voglia di continuare il confronto su quel piano. I suoi drammi sentimentali erano una storia già vecchia, lontana, forse estranea.

Insomma, Lucrezio cominciava a sospettare che non gliene importava nulla di Luisa.

Infine, Giorgio ebbe una risata stridula:

“Porca puttana… che bugiarda, quella donna!”

E la voce di Anna suonò metallica:

“Eri tu l’autore delle telefonate anonime?”

“Ma, per chi mi hai preso? Ci fu un momento in cui hanno telefonato anche a me! Identica modalità: uno o due squilli e poi riattaccavano…”

Si volse, quindi, a guardare Lucrezio:

“Eravamo nelle stesse condizioni, amico mio… anche se non lo sapevo e pensavo che Luisa fosse partita per Vienna, dove mi doveva aspettare… Invece, hanno cominciato a telefonare… Ho persino pensato che fossi tu…”

“Perché avrei dovuto?” disse Lucrezio.

“Non lo so. In quei giorni ero pazzo!”

“Ancora un volta fratelli…” sorrise tristemente Lucrezio. “Tutt’e due abbandonati e pazzi!”

“Ora, fratelli, non lo siamo più, dato che nella cacca ci sono rimasto da solo… Luisa mi ha piantato in asso.”

Finalmente, qualcosa quadrava.

C’era soltanto il particolare spiacevole che (se era andata come lui cominciava a pensare) Lucrezio ci faceva la solita figura del fallito. Altro che eroe messo in croce per la sua coraggiosa inchiesta! Era stato un patetico cornuto, raggirato da una donnetta. Meno male che gli venne da ridere.

Ed, infatti, rise.

“Stai bene?” gli chiese acidamente Giorgio.

“Vediamo di dare un po’ di ordine a questa vicenda di pazzi e di quattrini” disse Lucrezio ad Anna, ignorandolo. “Luisa, quindi, doveva fuggire con lui per andare a Vienna, aveva bisogno di soldi e perciò ha rastrellato il denaro dal mio conto corrente. Mi ha lasciato in un mare di guai, questo sì… Ma, non c’entravano nulla né Artieri né Galfano.”

“E le telefonate anonime?” chiese Anna.

“Forse non erano per me…” disse Lucrezio. “Magari, cercavano Luisa. Penso che abbia dato una botterella pure a Galfano… Così, il poveraccio verificava se era rimasta con me, nel caso avesse risposto al telefono.”

“O se era con l’amante…” aggiunse Anna, indicando Giorgio.

“Facile, se telefonavano anche a lui…”

“Il tuo licenziamento da L’Attenzione, quindi, sarebbe stato un fatto provvidenziale, ma non voluto…” concluse Anna.

“Esatto!” confermò Lucrezio.

“E la telefonata che ti fece Galfano?” domandò Anna.

“E’ la dimostrazione che lui aveva perso la testa per la mia adorabile convivente…” disse Lucrezio. “Debbo ammettere che in certe cose è piuttosto brava.”

“Che dici?” lo apostrofò Giorgio. “Luisa odiava Galfano!”

“Se odiava lui come amava te…” fece Lucrezio.

“Con me Luisa voleva ricominciare la sua vita da zero” protestò Giorgio. “Non posso pensare che giocasse su due tavoli!”

“Veramente, a quanto pare, i tavoli sarebbero almeno tre… Forse, questa è stata la stessa identica balla che ha detto a Galfano…” disse Lucrezio, finendolo. “Solo così si spiega il sussulto di onestà che aveva quando mi telefonò.”

“E la telefonata di Artieri?” incalzò Anna.

“Galfano scompare per cercare Luisa” rispose Lucrezio, “perciò Artieri si accerta abilmente che lei non sia con me.”

“Mi pare un po’ stirata” fece Anna. “In ogni caso, da qui a poco potremo sapere tutto.”

“Spiegati” disse Giorgio, ora inquieto.

“Artieri sta per arrivare.”

“Fai venire a casa tua quel porco?” disse ancora, piuttosto alterato.

“Perché no?” ribatté Anna.

Proprio in quel momento suonarono alla porta.

“E’ Artieri… Vado io” fece Anna, alzandosi.

Artieri era un bell’esemplare di anziano coi capelli candidi. Aveva almeno settant’anni, ad occhio e croce.

Entrò con passo tranquillo.

“Buonasera, signori” disse.

Quindi, vedendo il quadro, ebbe un moto di sorpresa e vi si avvicinò.

Gli occhi di Tyrone Power…” disse. “Opera strana ed interessante. Che significa?”

“Lei che dice?” ribatté Lucrezio.

Artieri sorrise prima di rispondergli. Quell’antipatica nonchalance non lo abbandonava mai.

“Purtroppo, dottor Caro, l’arte non è la mia maggior competenza.”

“Ed è venuto per colmare la lacuna?” ironizzò Giorgio.

Artieri gli rivolse uno sguardo che scivolò subito via.

“No, mi ha convinto la signora Nolte.”

Quindi, si volse ad Anna e sorrise:

“Ed ho fatto bene… Complimenti! Lei è bella, oltre che in gamba. Pensavo che fosse impossibile procurarsi il numero del mio cellulare. Poi, mi dice chi glielo ha dato.”

“Non posso, ovviamente… anche se la sua galanteria meriterebbe uno strappo alla regola” civettò Anna. “Ma, s’accomodi… Qui, sul divano, vicino a me.”

“Ottimo posto” disse Altieri, sedendosi.

“Ora, professore…” continuò Anna, “lasci perdere la galanteria… Ci racconti, invece, la verità su ciò che è successo al dottor Caro.”

“Dobbiamo parlare del nuovo policlinico?”

“Non ci faccia troppo ingenui!” sbottò Lucrezio. “Lei non direbbe mai la verità su quella vicenda. Mi basterebbe sapere che cosa è successo a me!”

“A mia notizia, lei è stato licenziato per un ammanco di cassa…”

“E chi può di dir di no?” disse Lucrezio. “E prima?”

“In faccende di questo tipo, prima può esserci stato tutto ed il contrario di tutto.”

“Non fu lei a comunicarmi che Luisa Conte aveva preso i soldi e s’era involata col suo pupillo?”

“Purtroppo, questa è la legge dell’amore: ogni felicità ha un risvolto di tristezza… Vedo, però, che lei è un uomo fortunato… Nel cambio ci ha guadagnato.”

“Davvero gentile!” si inserì Anna. “Ma, il dottor Fano non pare molto convinto dei sentimenti della signora Conte per Mario Galfano.”

“Io credo, invece” disse Artieri, ignorando Giorgio ostentatamente, “ che la signora Conte non ha mai provato per quel signore i sentimenti ch’egli le attribuisce…”

“E crede il falso!” scattò Giorgio. “Luisa era infastidita proprio dalle premure di Galfano.”

“Probabilmente è ciò che diceva a lei.”

Poi, si rivolse di nuovo ad Anna:

“Galfano e la signora Conte prima sono andati a Parigi, dove hanno abitato in un appartamento di mia proprietà in rue de Clichy. Ora si sono trasferiti più lontano, addirittura oltreoceano. Ne hanno abbastanza degli intrallazzi della politica locale e, fortunatamente, possiedono denaro bastante per rifarsi una vita ovunque…”

“Vi prego di togliermelo davanti!” proruppe Giorgio.

“Per me, non sarei neppure venuto.”

“Lei, professore, deve dirci molte cose” disse Anna. “Per esempio, ha idea di chi possa essere stato l’autore delle telefonate anonime ricevute dal dottor Caro ai tempi dell’inchiesta sul policlinico?”

“Quali telefonate?”

“Che faccio?” chiese Lucrezio ad Anna. “L’ammazzo?”

“Davvero non ne sa nulla, professore?” insistette Anna.

“Ammetto di tenere qualche dossier nella mia cassaforte…” disse Artieri. “E c’è pure un fascicolo intestato al dottor Caro. Sa che, prima di conoscere lei, ovviamente, è stato… come potrei dire?… un po’ gigolò, un po’ psicopatico e un po’ minchione… certo, a pensarci bene, si tratta di peccati veniali… Come pensa, allora, che io potessi usare un ricatto così lieve in un affare importante come quello del policlinico?”

“Per esempio, passando le informazioni al suo pupillo Galfano, per aiutarlo ad insidiarmi la donnasidiarmi la donna” ipotizzò Lucrezio.

Artieri ebbe il sorriso del maestro che coglie lo scolaro in una grossolana ingenuità.

“Lei conosce poco i metodi della politica” disse, “se pensa che ci si metta allo scoperto in un’avventura tanto incerta e capricciosa come la seduzione di una donna

“Per quel che ne sapevo” aggiunse, “la signora Conte avrebbe potuto anche rifiutare le avances dell’ingegner Galfano e metterla in guardia sui miei dossier.”

Sorrise ancora placidamente e dopo una pausa sentenziò:

“Non rivelo mai al nemico l’arsenale completo.”

“Mi dica, allora, se ha un’opinione al riguardo” disse Anna.

“Forse, più di me, ce l’ha il signore” disse Artieri, indicando Giorgio.

Giorgio non reagì. Abbassò gli occhi e ammise sottovoce:

“Può darsi che io abbia detto a Luisa qualcosa…”

“E la signora ha riferito a Galfano” concluse Artieri. “Il resto è semplice.”

“Era gente di Galfano a telefonarmi, quindi?” chiese Lucrezio.

“Probabilmente… a mia insaputa” rispose Artieri.

Si accomodò meglio. Era come se conversasse con amici… con calma, con bonomia addirittura.

“Certe telefonate hanno una logica nelle faccende d’amore, non nella mia politica… Io… ahimé!… mi emoziono soltanto di fronte alla mera utilità!”

“E poi?” chiese Anna. “Sia il mio amico, sia il dottor Fano, per molti giorni sono stati messi sotto pressione dal continuo squillare del telefono, a cui poi non seguiva niente. Lei era l’unico che poteva avere un guadagno da questo gioco.”

“Libera di non credermi, ma ne ho notizia soltanto adesso. Del resto, non avevo alcun bisogno di usare mezzi tanto elementari per togliermi il fastidio procuratomi dal dottor Caro…”

“Eppure” lo interruppe Giorgio, “stasera il fastidio di venirci a trovare se l’è preso! Non era meglio che anche questa volta ricorresse a mezzi meno compromettenti?”

“Forse…” ammise Artieri, dedicandogli ancora una volta un’attenzione fuggevolissima. Poi, si rivolse esclusivamente ad Anna:

“Ma, non si valuti più del dovuto, signora Nolte! Non mi sento debole, anche se sono qui, disposto a ragguagliarla su tutto ciò che so.”

“Non la preoccupano i documenti ai quali accennavo per telefono?”

“Ammetto che mi darebbero fastidio. Vedremo, quindi… Se sarà inevitabile, studieremo qualche soluzione. Ora, a prova della mia sincerità, le dirò come ho messo a tacere il dottor Caro.”

Per lunghi istanti, col pollice si massaggiò il dorso del naso. Dopo, intrecciò le mani sullo stomaco, prendendo una strana positura fratesca. L’Attenzione è un giornale di opposizione… un’ottimo giornale!… graficamente ben curato e con splendide immagini… Purtroppo, nella ditta che ha l’appalto del policlinico ho amici… ed anche in quel giornale… si sa, i giornali hanno bisogno di denaro, di molto denaro, per mantenere i loro standard qualitativi… perciò, qualche volta si rivolgono a chi comanda e chiedono aiuti… Non le sembri strano. E’ noto che la pratica dell’opposizione, al giorno d’oggi, salva l’anima a chi l’attua e, al contempo, non causa veri guai a chi è al potere… E’ stato facile, quindi, comprare il giornale e far leva sulla gratitudine, quando il dottor Mazza ha esagerato.”

“E l’ammanco?” chiese Anna.

“Una scusa vale l’altra.”

“Non capisco perché lo ammette” disse Anna. “Ora il dottor Caro scrive sul mio giornale… Io non ho ricevuto regali e l’inchiesta può ripartire tranquillamente.”

“Ora le cose sono cambiate… Ora, per esempio, lei, signora Nolte, potrebbe essere un utile sprone per migliorare le cose in questa città…”

Si fermò, evidentemente compiaciuto della meraviglia dipinta sui visi di Giorgio e di Lucrezio. Solo Anna manteneva un’espressione attenta ed impassibile.

Riprese:

“Faccia diventare il suo giornale la voce della vera opposizione!… E’ giusto, in democrazia non si può essere d’accordo su ogni cosa. Su molti argomenti lei potrebbe avere ragione, potrebbe addirittura… perché no?… anche farmi cambiare idea!… Io penso che la vera rivoluzione sia sempre un processo graduale, mai un atto velleitario. La rivoluzione è fatta di piccole vittorie, che non danno alla testa… E una vittoria gliela comunico subito: il progetto del nuovo policlinico non decollerà più… E’ morto perché… perché aveva ragione il dottor Caro!”

“E tutto questo lei lo ammetterà pubblicamente?” chiese quietamente Anna.

“Intanto lei ci monti su una bella campagna di stampa e noi ci faremo convincere… Per ora, si accontenti! Noi le verremo incontro, troveremo i giusti finanziamenti per la testata, faremo nascere un’organizzazione… e così daremo uno sbocco politico alle esigenze di moralità e di cambiamento!”

Si volse a guardare Lucrezio. Ma, probabilmente, egli non aveva un aspetto rassicurante. In effetti, aveva soltanto voglia di spaccargli la faccia.

“In fondo” disse Artieri, tornando ad Anna, “ciò sarebbe una giusta riparazione per i tanti brutti momenti che il suo amico ha passato. Fra qualche mese si vota e lui potrebbe portare la sua battaglia in parlamento… Mi creda, signora Nolte, un potere intelligente non ha superbia… Sa pure cedere, se è il caso.”

A questo punto, guardò Lucrezio dritto negli occhi, nonostante il suo aspetto non fosse per nulla mutato.

“In fondo, lei, dottor Mazza, non deve assolutamente cambiare pelle! Resti nel partito d’opposizione in cui milita… Magari, non troverà donnine pronte a darle le loro grazie… si accontenti di me, che farò in modo che il suo partito non resti d’opposizione!”

“Perché questo discorso non lo fece due mesi fa?” chiese Anna, come se parlasse del tempo.

Artieri sorrise:

“Il potere non ha superbia, ma neppure generosità superflue.”

“Una scusa vale l’altra, ha detto… A chi venne l’idea di far scomparire i soldi?” chiese Lucrezio.

A la guerre comme à la guerre!” disse Artieri. “Quando seppi di Galfano e della signora Conte… a quel punto… tanto valeva farla collaborare!”

“Ricattandola!” gridò Giorgio.

“E’ esattamente ciò che si dirà” confermò Artieri. “In questa intricata faccenda un colpevole deve pur esserci… Ormai, chiarita l’innocenza del dottor Caro, resta la colpevolezza di Galfano, mi pare evidente.”

Parve, però, pentirsi di aver degnato Giorgio di una risposta, per cui si volse a Lucrezio:

“Forse, all’inizio, egli aveva davvero l’intenzione di ricattare la sua compagna… Purtroppo, strada facendo, il loro rapporto divenne molto, molto meno conflittuale.”

Giorgio, nervosissimo, si versò del cognac e bevve. Prese e si accese ancora una sigaretta ed andò a buttare il fiammifero dalla finestra.

“Credo di incominciare a capire…” cominciò.

“No, dottor Fano!” lo interruppe Altieri, finalmente guardandolo in faccia. “In questa vicenda, lei non ha titoli per capire! La Conte e Galfano sono andati via molto d’amore e molto d’accordo, come le ho già detto.”

Poi, tornò ad rivolgersi ad Anna:

“Senza più l’affare del policlinico, lei ha carte che non sono quel poker d’assi di cui si vantava… Al più, costituirebbero dei fastidi… Senza contare che, in ogni caso, lì non compare mai il mio nome… e, quindi… io non c’entro nulla!”

“Ovvio!” esclamò Lucrezio. “Lei, i sorci, li prendeva con le mani di Galfano.”

“E lei è ingenuo, se pensa che questa tecnica l’abbia inventata io.”

“Adesso non avrà difficoltà a trovargli un sostituto?” chiese Anna.

“Qualcuna sì… Galfano aveva caratteristiche davvero non comuni.”

Anna ebbe un sorriso:

“Ci credo! Se l’era letteralmente cresciuto a casa sua… La gente pensava che lei fosse l’amante della madre…”

Artieri si irrigidì. Ma, in quel preciso momento suonarono alla porta.

“Vado io” disse subito Anna.

Quando Anna ricomparve, Lucrezio si accorse che lo guardava con aria preoccupata.

Senza dir niente si fece di lato…

Ed entrò Luisa.

Indossava un abbottonatissimo tailleur grigio. Ma, le sue piccole forme mediterranee dominavano sul vestito castigato e provocavano sensibili impennate nella parte maschile del sangue.

Giorgio si alzò, evidentemente emozionato.

Artieri ebbe un rapido incresparsi dei muscoli facciali e poi tornò impenetrabile.

“Forse dovrò darti qualche spiegazione, Lucrezio” disse Luisa.

Poi, si avvicinò a Giorgio e aggiunse con dolcezza:

“Ed anche a te.”

“Accomodati, allora…” le disse Anna.

“Accanto a lui, no!” esclamò Luisa, guardando Artieri.

Giorgio indicò quello che era stato il suo posto:

“Siediti lì.”

Luisa diede una lunga occhiata al quadro sulla parete e si sedette.

Poi, tornò a guardare il quadro.

“Perché quel dipinto è qui?” chiese.

“Appunto!” aggiunse Artieri. “Perché?”

Giorgio buttò la sigaretta dalla finestra, nervosamente.

“Comincio a chiedermi” disse, “perché mi ci trovo io, qui!… Che parte ho nel gioco, Luisa?”

“Fammi fumare” rispose Luisa.

Giorgio agguantò subito il pacchetto delle sigarette e glielo porse.

“Perché si trova qui… il mio quadro?” ripeté severamente, mentre accendeva.

“Ce l’ho portato io” disse Giorgio.

“E chi ti ha autorizzato?”

Giorgio indicò Lucrezio:

“Volevo dirgli di noi due…”

“Basta!” urlò Lucrezio a Luisa, umiliato. “Vorrei parlare dei fatti miei, se non vi dispiace!… dei centocinquanta milioni che mi hai rubato, dei mesi d’inferno che mi hai fatto passare!”

Però, Anna gli circondò le spalle con un braccio e disse, determinata:

“Con calma! Ora sono io che voglio sapere tutto!”

“E ha ragione!” disse Artieri. “Va bene, sciogliamo l’enigma… a patto, che il dottor Fano si sieda e non faccia più il paladino… Mi dà molto fastidio guardar la gente dal basso in alto.”

Giorgio gli lanciò uno sguardo d’odio, ma sedette…

Ovviamente accanto a Luisa.

“Il quadro è un regalo che la signora Conte mi fece quindici anni fa…” cominciò Artieri.

Ancora una volta il vecchio aveva colpito nel segno. Aveva stupito tutti.

Ma, in quel momento non sembrava molto compiaciuto. Era soltanto un povero vecchio.

“E’ un dipinto commerciale, ma raffigura uno scorcio dell’Etna… Da tanti anni tra me e la signora Conte c’è un’amicizia… davvero censurabile, se pensiamo che è cominciata quando lei aveva quindici anni ed io oltre cinquanta… Gli istanti più dolci della mia vita, comunque, li ho avuti il giorno in cui scrisse quella frase con una bomboletta spray… Disse che nel nostro amore c’era l’asprezza del paesaggio ed il mistero della fantasia… o, se volete, c’erano gli occhi di Tyrone Power… Una sciocchezza come tante, insomma!… Ma, mi parve bella ugualmente…”

“Smettila!” lo aggredì Luisa.

“Oggi penso che, se lei non si fosse poi stancata di me, sarei diventato un uomo migliore.”

“Mi hai sempre ricattata per avermi!”

“Di’, invece, che sei sempre tornata, dopo i tuoi tradimenti!”

A quel punto, Giorgio s’inserì rumorosamente, mandando un manrovescio che fece cadere la bottiglia di cognac ed i bicchieri che erano sul tavolinetto.

“Ed io, dunque?” urlò.

Artieri lo guardò con odio e parve pronto a scagliarsi contro di lui, mentre sibilava:

“Lei è stato soltanto un momentaneo capriccio!”

“No” insorse Luisa, “ti sbagli!”

Andò ad abbracciare Giorgio.

“Giorgio no!” gli disse. “Con Giorgio per la prima volta hai davvero avuto motivo di essere geloso!”

E qui Artieri non mancò di stupire tutti ancora, con parole che mai si pensava potessero uscire dalla sua bocca:

“Piccola troia vanitosa!”

Luisa gli rise in faccia.

“Quando portai via il quadro da casa tua… ti fu chiaro che volevo dare a lui tutta me stessa, compreso lo schifo del mio passato con te!”

Poi, andò vicino a Lucrezio, piccola e tremante, come nei momenti più belli del loro amore.

“Ero io che telefonavo, Lucrezio” disse. “Ma, non intendevo cercarti… Volevo semplicemente aumentare la tensione, indurti a pensare a chissà quali maneggi da parte di Galfano…”

Quindi, si volse a Giorgio:

“Ed ho dovuto farlo anche con te.”

Lo accarezzò e, abbassando lo sguardo, disse:

“Povero Galfano! S’era davvero innamorato… Per star con me voleva liberarsi della tutela di Artieri… Era arrivato al punto di voler passare a Lucrezio la mappa della corruzione in questa città di schifo…”

Alzò gli occhi sul vecchio, sfidandolo.

“Proprio a partire dai suoi intrallazzi!” gridò.

Artieri teneva la testa china. Era un uomo distrutto. Allora, Luisa gli andò vicino e gli mise una mano sulla spalla, sussurrandogli:

“Sono stanca, amore mio…”

Gli sollevò la testa, prendendolo delicatamente, da sotto il mento… La sua era una tenera e lunga carezza d’innamorata.

“Non dovevi costringermi ad ucciderlo” aggiunse.

A quella rivelazione, l’unica cosa che restò impressa nel ricordo fu il viso di Anna, vicinissimo a quello di Lucrezio.

“E questo è tutto!” gli sussurrò, dopo un tempo che parve lunghissimo.

“Già…” rispose Lucrezio. “E’ davvero tutto!”

Dopodiché, Giorgio col braccio circondò le spalle di Luisa.

“Andiamo via” le disse.

“Anch’io devo tornare a casa” disse Artieri, sottovoce, sempre più vecchio. “Devo pensare con calma…”

Si alzò ed uscì.

Lucrezio si rivolse a Giorgio:

“Andatevene via subito.”

“Ci stai cacciando?” chiese Giorgio.

“Forse. Ma è meglio che entro questa notte siate già all’estero.”

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